venerdì 11 agosto 2017

Contratto da 600 milioni per Cerroni. Ma Cantone lo blocca: “E’ illegale” L’Anticorruzione contro il monopolio del «re dei monnezzari». Nonostante il divieto dell’antimafia, i suoi impianti restano decisivi

ROMA
«State scherzando?». È stato Raffaele Cantone a sventare un nuovo, gigantesco contratto che avrebbe perpetuato il legame inestricabile tra Roma e Manlio Cerroni, «il re dei monnezzari» che di sé dice: «Io sto alla monnezza come Cicerone all’oratoria». 

A quasi 91 anni, con tre processi penali a carico per reati che vanno dall’associazione a delinquere al disastro ambientale, Cerroni sembrava destinato a rinunciare al ruolo di monopolista dello smaltimento dei rifiuti capitolini, che ricopre da più di mezzo secolo con plauso bipartisan (anzi, ormai tripartisan). «È la mia morte civile», aveva detto tre mesi fa dopo che a sorpresa, ribaltando la decisione del Tar, il Consiglio di Stato (terza sezione, presidente l’ex ministro Frattini) aveva sancito definitivamente l’interdittiva antimafia nei suoi confronti. Provvedimento che comporta il divieto di contrattare con le pubbliche amministrazioni. 

Ma la morte civile di Cerroni, ovvero lo stop al conferimento dei rifiuti nei suoi impianti, comporterebbe la morte civile anche per Roma, che si ritroverebbe con le strade colme di rifiuti. Per questo ad aprile Autorità Anticorruzione, prefettura, Comune e Regione congegnano una soluzione d’emergenza: nominare un commissario per gestire in continuità il contratto con Cerroni, evitando il caos. 
Peccato che un contratto non esista, non sia mai esistito. Roma ogni giorno porta 1250 tonnellate di rifiuti negli impianti di Cerroni e gli paga 170 mila euro senza un pezzo di carta che regoli diritti e obblighi delle parti. Quindi Cerroni non solo può prendere decisioni unilaterali che mettono in ginocchio Roma, ma anche reclamare periodicamente aumenti tariffari, che la Regione elargisce con una certa disponibilità. Negli ultimi anni, cinque aggiornamenti di prezzi; l’ultimo in giugno, dopo l’interdittiva antimafia, passando a 137 euro a tonnellata (perché, visto che nel resto d’Italia il mercato non paga più di 120?). 

«Un contratto non serve», spiegano a Cantone. Il quale non la beve. «Illegalità di questo genere - racconta ai suoi collaboratori - non le avevo viste nemmeno quando facevo le indagini in Campania». E dà mandato al commissario, il commercialista Luigi Palumbo, di predisporre il contratto, spiegando che le leggi sugli appalti valgono anche a Roma. 

Palumbo nicchia. Così viene convocata in prefettura una nuova riunione, un paio di settimane fa, in cui si scoprono le carte. Il commissario si presenta manifestando la disponibilità a firmare un contratto, purché non inferiore a cinque anni (la prima richiesta era dieci anni, o ogni anno vale 60 milioni) e che comprenda anche una definizione tombale di un vecchio contenzioso da 900 milioni di euro. Argomenta che la proprietà dell’azienda (Cerroni) ha bisogno di certezze legali e finanziarie per programmare investimenti e consolidare la sua situazione contabile. 

Cantone, spalleggiato dal prefetto Paola Basilone, risponde con perentorietà che non ammette repliche. Intima al commissario (che scade a settembre) di firmare subito un contratto, la cui durata non può essere più di un anno. Solo per evitare l’emergenza e non un giorno di più, perché la gestione dei rifiuti dovrà essere messa a gara. 

Ama, l’azienda comunale dei rifiuti, è pronta a firmare. Ma dopo due settimane tutto ancora tace. 

«Quando raccoglievo io i rifiuti a Roma, sulle strade ci si potevano mangiare gli spaghetti», ha rivendicato Cerroni nell’interrogatorio-show in tribunale. L’autodefinizione di «re dei monnezzari» ha un fondamento che supera la romanità più folkloristica. Lavora nel settore da quando aveva i calzoni corti e i rifiuti si raccoglievano con i carretti. È stato un pioniere, detiene decine di brevetti e ha costruito una cinquantina di impianti in tutto il mondo. A lui sono ricorsi sindaci di ogni colore (il comunista Petroselli gli chiese aiuto «in quanto uomo di servizio», dopo il fallimento della municipalizzata voluta dal Pci). E attorno al suo impero si regge un sistema politico-istituzionale-finanziario, dentro e fuori Roma. «Se chiudesse i suoi conti - raccontava tempo fa un grande banchiere - chiuderebbe la metà delle filiali di Roma». 

Benché messo in mora da magistratura, prefettura e Anticorruzione, Cerroni non molla. La recente e controversa autorizzazione (da parte della Regione a guida Pd con il placet del Comune a guida M5S) dell’altro suo impianto, il tritovagliatore di Rocca Cencia, dimostra che i suoi quattro assi non sono di un colore solo, come qualcuno sperava. http://www.lastampa.it/2017/08/11/italia/cronache/contratto-da-milioni-per-cerroni-ma-cantone-lo-blocca-e-illegale-82JBSJFSt1D2P62NmBKm7K/pagina.html?utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

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