martedì 31 gennaio 2017

Ilva, da marzo 5mila dipendenti in cassa straordinaria “per colpa della crisi”. Sindacati: “Assist ai futuri acquirenti”

Il gruppo, che resta commissariato in attesa della cessione a una delle due cordate interessate, ha annunciato che dopo la fine dei contratti di solidarietà farà ricorso all'ammortizzatore perché ha necessità di "effettuare fermate parziali o anche totali di tutti gli impianti". I rappresentanti dei lavoratori temono che i compratori possano cogliere l'occasione per dichiarare esuberi strutturali Da marzo, una volta scaduti i contratti di solidarietà, quasi 5mila dipendenti dell’Ilva finiranno in cassa integrazione straordinaria. La notizia è stata ufficializzata martedì mattina alle segreterie provinciali di Fim, Fiom, Uilm e Usb dal gruppo siderurgico, guidato ancora dai commissari straordinari Enrico Laghi, Corrado Carrubba e Piero Gnudi in attesa della cessione entro il prossimo ottobre a una delle due cordate che hanno presentato offerte per acquisirlo. I sindacati hanno rispedito al mittente la proposta, definendola “inaccettabile” perché “rischia di aprire fronti incerti rispetto alle tutele occupazionali in una fase delicatissima con alle porte la cessione degli asset produttivi, oltre a produrre ripercussioni pesanti sul reddito dei lavoratori già fortemente penalizzati“. In pratica la preoccupazione dei rappresentanti dei lavoratori è che si tratti di un “assist che consegni ai futuri acquirenti la possibilità di avere elementi per eventuali dichiarazioni di esuberi strutturali nonché ulteriori danni economici per i lavoratori”. Francesco Rizzo, coordinatore provinciale dell’Usb, parla esplicitamente di “manovra studiata a tavolino per permettere ai futuri proprietari dello stabilimento di effettuare tagli macroscopici”
Ora i sindacati chiedono che “il tavolo di discussione sia trasferito presso il competente ministero al fine di ricercare una concreta risoluzione che tuteli l’occupazione e il reddito dei lavoratori” che “perdono, in media, dai 130 ai 150 euro al mese”. Vogliono, in particolare, “una deroga al Jobs act sugli ammortizzatori sociali, riproponendo i contratti di solidarietà per 24 mesi con il vecchio sistema normativo e la retribuzione all’80 per cento“. In caso contrario “non escludiamo la mobilitazione di tutti i lavoratori”, fanno sapere.
Gli “esuberi temporanei” dichiarati dall’Ilva sono 4.984 tra gli impiegati nello stabilimento di Taranto più 80 operativi a Marghera, su un totale di poco più di 10mila dipendenti. La nota del gruppo sostiene che il motivo è il “protrarsi della crisi economico-finanziaria internazionale, che ha prodotto un progressivo deterioramento del mercato di riferimento in Europa dopo un ciclo espansivo pluriennale collocabile negli anni 2003-2008″. Segue un riferimento ai costi sostenuti per adeguarsi alle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), costi a cui dovrebbero contribuire gli 1,3-1,4 miliardi della famiglia Riva custoditi in Svizzera e in fase di rientro dopo l’accordo con le procure.
Nel documento consegnato alle organizzazioni sindacali, l’Ilva fa presente che si rende necessario “effettuare fermate parziali o anche totali di tutti gli impianti a valle e a monte del ciclo produttivo a caldo di Taranto, con inevitabile riduzione del fabbisogno di risorse umane“. Di qui la “sospensione” di 433 lavoratori dell’area Ghisa, 821 dell’area Acciaieria, 988 dell’area Laminazione, 916 dell’area Tubifici-Rivestimenti tubi-Fna, 896 del’area Servizi-Staff e 939 dell’area Manutenzioni centrali (in totale 4.114 operai, 574 impiegati, 296 equiparati).
La “congiuntura sfavorevole”, aggiunge l’azienda, “ha coinvolto l’intero ciclo produttivo dello stabilimento ionico interessando dapprima il settore e i laminati piani nelle varie linee di prodotto formato e, successivamente, il settore dei tubi e lamiere ad oggi risulta interessato da fermate totali o cicli ridotti di lavorazione”. Ma a questa condizione generale del mercato, a partire dal 2012, “si è associata – spiega l’Ilva – una complessa vicenda amministrativalegislativa e giudiziaria che ha interessato l’unità produttiva di Taranto”. In tale contesto, “l’Ilva ha avviato il piano di adeguamento alle prescrizioni Aia che ha comportato la progressiva ‘fermata’ o la riduzione degli impianti che insistono sull’area a caldo”. Il combinato disposto tra “il progressivo attestarsi di produzione e commercializzazione su volumi insufficienti a garantire l’equilibrio e la sostenibilità finanziaria” e “gli ingenti costi di adeguamento alle prescrizioni Aia”, ricorda poi il documento, ha “progressivamente aggravato la situazione di illiquidità, che ha determinato l’inevitabilità della richiesta di accesso alla procedura di amministrazione delle grandi imprese in crisi, cui l’impresa risulta oggi assoggettata”.di  | 31 gennaio 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/ilva-da-marzo-5mila-dipendenti-cassa-straordinaria-per-colpa-della-crisi-sindacati-garantire-integrazioni-salariali/3353147/

gestione servizio idrico Bollette Acea, associazione consumatori: “Il risarcimento per 12 anni di disservizi a un cliente? Solo 170 euro”

Una signora romana dal 2005, dopo un errore dei tecnici della ex municipalizzata, si è vista chiedere cifre spropositate perché il suo contatore è stato invertito con quello di una famiglia composta da quattro persone. Per dieci anni ha chiesto un intervento, senza successo. Dopo la denuncia in tv l'azienda ha provveduto, ma non ha riconteggiato gli importi: "per prassi" chiude i contenziosi proponendo un importo fisso Continuano a susseguirsi i reclami da parte dei consumatori contro le bollette dell’Acea: nel mirino gli importi “spropositati”, i “disservizi”, i conguagli “stratosferici”, i cambi unilaterali di contratto a sfavore dell’utente. Tutto ciò nonostante a giugno l’azienda controllata dal comune di Roma sia già stata multata dall’Antitrust per “i meccanismi di fatturazione e le ripetute richieste di pagamento non corrispondenti a consumi effettivi“. Questa volta è il caso di una signora romana, che ha chiesto aiuto all’associazione dei consumatori Codici per chiedere un risarcimento da parte di Acea per “12 anni di disagi, disservizi e importi spropositati”.
La donna nel 2005 ha infatti ricevuto la sostituzione del contatore da parte dei tecnici della ex municipalizzata, che però per errore hanno invertito il suo contatore con quello di un altro appartamento nello stesso stabile. La signora ha comunque sempre pagato ogni bolletta puntualmente nonostante l’errore sia da subito evidente, in quanto i consumi sembrano spropositati considerato che vive da sola. Il contatore invertito è infatti quello di una famiglia composta da quattro persone. Per dieci anni la donna chiede che il contatore venga nuovamente invertito ma l’azienda non considera nessun reclamo presentato e quindi non interviene. Solo dopo l’intervento di Codici in una nota trasmissione televisiva, Acea sostituisce il contatore. La signora a questo punto chiede che venga riconteggiato l’importo versato in tutti questi anni, ma, come non detto, la società rimane inerte.
Parte quindi un tentativo di conciliazione bonaria con l’azienda presso l’Autorità per l’Energia. Ma la ex municipalizzata romana dice che, per prassi e per politica, non eroga nessun risarcimento danni e cerca di chiudere i contenziosi proponendo solamente 170 euro a titolo di risarcimento. Insomma, oltre il danno la beffa. La cosa più allarmante è però che questo non è un caso isolato. Sono varie infatti le segnalazioni dei consumatori su bollette stratosferiche o disservizi: “Ne riceviamo a bizzeffe”, dice Luigi Gabriele, a capo degli Affari istituzionali e regolatori di Codici.
C’è ad esempio un altro signore di Roma che contesta un mega conguaglio dovuto a un cambio di contratto non richiesto. “La casa dove è attiva la fornitura è di mia proprietà ma affittata. Il nuovo inquilino ha deciso di cambiare operatore dell’energia elettrica (avevo Acea) ed è stata data la disdetta con conseguente arrivo di un conguaglio stellare di 826,52 euro (che peraltro ho pagato)”, racconta il signore che prosegue con la storia: “Vista la somma ho chiamato Acea e la cosa sembrerebbe dovuta a un cambio di contratto da biorario a monorario fatto nel 2013”. Poiché il signore dice di non aver mai fatto una richiesta in questo senso, ha chiesto il riconteggio complessivo nella modalità bioraria con la restituzione dell’importo pagato.
Altro caso: un signore romano contesta una bolletta recapitata da Acea da 556 euro dopo aver ricevuto, a luglio 2016 (quindi dopo la multa Antitrust), una lettera in cui la società lo informava che “per un imprevisto problema tecnico non si è stati in grado di inviare fatture con la periodicità stabilità”. Una “anomalia”, scrive la stessa Acea, “recentemente superata, causando l’emissione di una fattura che si riferisce a periodi accumulatisi nel tempo per un importo complessivo di 555,71 euro”. E qui il dulcis in fundo: la società si scusa per “il disagio causato” ma rammenta anche che la bolletta deve essere pagata con una scadenza che non arriva neanche a un mese dalla ricezione della lettera. L’uomo ha chiesto quindi l’estratto conto dei consumi effetti e dei pagamenti effettuati del periodo in questione. Chiede anche di ricevere il verbale di sostituzione del vecchio contatore con la relativa lettura dei consumi, visto che non era presente il giorno in cui è stato sostituito con uno nuovo.
Dal canto sua la ex municipalizzata non solo non sembra scalfibile ma non si fa neanche problemi a chiedere soldi di risarcimento a tappeto, per propri errori tecnici, sperando di avere la fortuna di cogliere l’“utente giusto” (oppure poco accorto): prima di Natale, ha chiesto il pagamento di un vecchio bollettino non recapitato per errore, aggiungendo di cestinarla nel caso in cui il conto precedente fosse stato regolarmente ricevuto. di  | 31 gennaio 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/bollette-acea-associazione-consumatori-il-risarcimento-per-12-anni-di-disservizi-a-un-cliente-solo-170-euro/3353164/

Ambiente, Italia bocciata in sostenibilità: ritardi, fondi mal spesi, disattenzione

L'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile chiede ai politici di inserire il tema nei programmi elettorali. Per il presidente del Senato, Pietro Grasso, "non ci sono alternative"

L'agenda 2030 è articolata in 169 target e 240 indicatori. E l'Italia, che sta perdendo posizioni su molti fronti di questo scacchiere economico-ecologico, è definita in "condizioni di non sostenibilità" dal Rapporto Asvis 2016. Anche se si registrano alcuni segnali positivi (creazione della rete delle università per lo sviluppo sostenibile, sostenibilità al primo posto nel piano strategico per il turismo), scorrendo i punti critici emergono ritardi, disattenzioni, provvedimenti sbagliati. Ecco gli errori principali.

Cambiamento climatico ed energia. Sulle fonti rinnovabili abbiamo avuto uno sprint formidabile e ci siano seduti proprio nel momento in cui potevamo raccogliere i frutti dello sforzo. Non abbiamo una strategia energetica in grado di traghettarci verso l'obiettivo della decarbonizzazione entro il 2050, necessario per evitare che l'aumento della temperatura raggiunga livelli catastrofici.

Economia circolare, innovazione e lavoro. L'elenco delle buone azioni richieste è lungo: ratifica immediata della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti; riduzione dei sussidi dannosi per l'ambiente; incentivi fiscali per  incoraggiare il riuso della materia; attuazione dell'Agenda digitale. L'elenco delle buone azioni attuate è quasi vuoto.  Povertà e diseguaglianze. In un quadro in cui il lavoro diventa sempre più scarso e precario a livello europeo viene chiesta l'introduzione di un sussidio di disoccupazione in tutti i Paesi. In Italia questo tema, spesso declinato nella versione del reddito di cittadinanza, per molti partiti resta ai margini del dibattito politico.

Capitale naturale e qualità dell'ambiente. Ci sono da rispettare vari impegni internazionali, tra cui l'attuazione della direttiva quadro sulle acque. In Italia manca il 30% di depurazione e il 15% del sistema fognario.

Città e infrastrutture. L'obiettivo è l'adozione di una strategia urbana di sviluppo sostenibile e l'approvazione dei piani di adattamento al cambiamento climatico. La realtà è la mancata approvazione della legge sul contenimento del consumo di suolo e sul riuso del suolo edificato.  Giovannini - ricordando che il 70% degli italiani è favorevole alle politiche per lo sviluppo sostenibile - chiede dunque ai partiti di dire agli elettori come pensano di ridurre la povertà e le disuguaglianze, tutelare l'ambiente e rispettare gli accordi di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico. L'Asvis propone anche di inserire nella Costituzione la necessità dello sviluppo sostenibile. Al convegno di oggi, a Roma, a Palazzo Giustiniani, su "La politica di fronte alla sfida dello sviluppo sostenibile", una risposta netta è arrivata dal presidente del Senato, Pietro Grasso: "Non c'è alcuna alternativa possibile per il pianeta se non quella di iniziare un percorso virtuoso, sulla base degli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite, per realizzare la pace e la giustizia, rafforzare le istituzioni e ridurre al minimo le diseguaglianze che affliggono milioni di uomini e di donne in tutto il mondo e, non dobbiamo dimenticarlo, anche nei paesi più avanzati". Per il resto sono arrivate aperture parziali. Stefano Fassina (Sinistra Italiana) ha condiviso l'allarme per la crescita di un populismo che si nutre della distrazione rispetto alla concretezza del tema della mancanza di lavoro e delle ondate migratorie spesso esasperate dal dissesto climatico. Mirko Busto (Movimento 5 Stelle) ha provato a tenere assieme reddito di cittadinanza e decrescita. Fabio Rampelli (Fratelli d'Italia-An) ha espresso preoccupazioni demografiche. Per ora comunque questi temi restano a margine dell'agenda politica. A cavallo di questa estate o della prossima sapremo cosa ne pensano gli elettori. http://www.repubblica.it/ambiente/2017/01/31/news/ambiente_italia_bocciata_in_sostenibilita_ritardi_fondi_mal_spesi_disattenzione-157300972/?rss=&ref=twhr&utm_source=dlvr.it&utm_medium=twitter

Acqua: Blue Book, 11% dei cittadini non ha depurazione

Acqua: Blue Book, 11% dei cittadini non ha depurazione Danni a ambiente e infrazioni Ue, colpiti 931 agglomerati urbani
E' "prioritario" il fabbisogno di "investimenti sulla 'depurazione delle acque reflue'. Circa l'11% dei cittadini, infatti, non è ancora raggiunto dal servizio di depurazione". Questo quanto emerge dal 'Blue Book' 2017, lo studio - presentato oggi a Roma - promosso da Utilitalia (l'associazione delle imprese di acqua ambiente e energia) e realizzato dalla Fondazione Utilitatis con il contributo di Cassa depositi e prestiti. "La conseguenza, oltre ad incalcolabili danni per l'ambiente e la qualità delle acque marine e di superficie, è nelle sanzioni europee comminate all'Italia - si osserva nello studio che cita i tre contenziosi a livello europeo del nostro Paese sull'argomento - colpevole di ritardi nell'applicazione delle regole sul trattamento delle acque". "Complessivamente, con gravità diverse e relative sanzioni differenziate - viene spiegato dal 'Blue Book' - sono colpiti 931 agglomerati urbani", in relazione ai tre contenziosi Ue. La maggior parte di questi sono concentrati "nel Mezzogiorno e nelle Isole e si trovano in territori gestiti direttamente dagli enti locali e non attraverso affidamenti a gestori industriali".http://www.alessandrobratti.it/blog-ambiente/3488-acqua-blue-book,-11-dei-cittadini-non-ha-depurazione.html

Acqua: Blue book, reti vecchie, 60% ha più di 30 anni

Acqua: Blue book, reti vecchie, 60% ha più di 30 anni Si arriva al 70% nelle grandi città;al Centro Italia 46% perdite
''Le reti presentano un elevato grado di vetustà, tanto che il 60% delle infrastrutture è stato messo in posa oltre 30 anni fa (percentuale che sale al 70% nei grandi centri urbani); il 25% di queste supera i 50 anni (arrivando al 40% nei grandi centri urbani)''. Questo quanto emerge dal 'Blue Book' 2017, lo studio sul settore idrico promosso da Utilitalia (l'associazione delle imprese di acqua ambiente e energia), realizzato dalla Fondazione Utilitatis con il contributo di Cassa depositi e prestiti, e presentato oggi a Roma. ''Le perdite delle reti degli acquedotti - si legge nella ricerca - hanno percentuali differenziate: al Nord ci si attesta al 26%, al Centro al 46% e al Sud al 45%''.
(ANSA)http://www.alessandrobratti.it/blog-ambiente/3487-acqua-blue-book,-reti-vecchie,-60-ha-pi%C3%B9-di-30-anni.html

Brescia: GDF sequestra deposito auto usato come discarica abusiva

Era stato destinato a deposito auto per i mezzi posti sotto sequestro dalle forze di polizia, ma è diventato una discarica abusiva.
Per questo un'area di 500 metri quadrati nel comune di Gavardo, nel bresciano, è stata sequestrata dai finanzieri della tenenza di Salò. All'interno sono stati trovati numerosi veicoli in evidente condizione di degrado, tanto da renderli assimilabili a rifiuti speciali. I militari hanno inoltre riscontrato la mancanza di pavimentazione idonea e di altre infrastrutture atte a impedire la dispersione nel terreno di sostanze inquinanti. Durante l'operazione, svolta con l'ausilio dei funzionari dell'Arpa di Brescia, è stato effettuato anche il carotaggio e il prelievo di campioni di terreno per accertare lo stato di contaminazione dovuto a eventuali versamenti di olii, grassi, acidi e simili. Il deposito e 43 mezzi trovati all'interno, equiparabili a rifiuti speciali, sono stati sequestrati. Il proprietario dell'area è stato denunciato alla procura di Brescia. 
(AdnKronos)http://www.alessandrobratti.it/blog-ambiente/3484-brescia-gdf-sequestra-deposito-auto-usato-come-discarica-abusiva.html

Ilaria Alpi appello: dopo depistaggi procura Roma faccia giustizia

Dopo le motivazioni della sentenza d'appello di Perugia, la verita' sugli omicidi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin puo' essere piu' vicina.
E' appello lanciato oggi alla Camera dalla mamma di Ilaria, Luciana, dagli avvocati e dai giornalisti. Il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Walter Verini, sintetizza: "La sentenza di Perugia dice quello che sapevamo cioe' che Ilaria e Miran sono stati uccisi perche' avevano scoperto un traffico di rifiuti e armi all'ombra della cooperazione e ha scagionato un innocente. Il nostro compito- sottolinea- e' quello di tenere il faro acceso sulla vicenda che si puo' chiudere solo quando i responsabili del depistaggio saranno individuati e sara' fatta verita' e giustizia. Ora spetta alla Procura di Roma accelerare". La mamma Luciana sottolinea che la sentenza di Perugia "ci restituisce la speranza, dopo anni di depistaggi. Spero che i magistrati di Roma si decidano a darci giustizia e gradirei che il presidente della Repubblica leggesse le motivazioni della sentenza". L'avvocato della famiglia Giovanni D'Amati sottolinea che la sentenza "non e' punto di arrivo ma di ripartenza: chiederemo un colloquio al Procuratore di Roma, bisogna fare di piu' e noi non vogliamo lasciare nulla di intentato". Dai giornalisti l'impegno a tenere alta l'attenzione ma non solo. Il presidente della Federazione Nazionale della Stampa, Beppe Giulietti, annuncia la costituzione di parte civile dell'associazione ("chiederemo a tante associazioni di fare lo stesso per poter assicurare un presidio in ogni occasione utile") e si rivolge ai magistrati di Roma: "Il depistaggio e' evidente: ora a chi tocca tocca, vogliamo sapere chi e perche' ha insabbiato". Il segretario dell'Usigrai, Vittorio Di Trapani, chiede alla Rai di "costituirsi parte civile" e in vista del 20 marzo, anniversario dell'omicidio della giornalista Rai, di dare vita al "nucleo di giornalismo investigativo, un modo per dire che c'e' l'impegno diretto per la verita'". Il portavoce della presidente della Camera, Laura Boldrini, Roberto Natale, ricorda l'attivita' di desecretazione degli atti della commissione d'inchiesta: "Sono 5.300 le pagine leggibili e a breve il processo di pubblicazione dei documenti sara' completato".
(DIRE)http://www.alessandrobratti.it/blog-ambiente/3489-ilaria-alpi-appello-dopo-depistaggi-procura-roma-faccia-giustizia.html

TRA VIA VALLE CAIA E VIA TOR MAGGIORE Pomezia, il Comune chiede a Cogea di costruire una nuova strada a Santa Palomba

Dopo aver incassato la variazione sul tipo di impianto, da centrale per la produzione di "bio"gas a sito di compostaggio, il Comune chiede alla società Cogea srl di realizzare una nuova strada su cui spostare l'afflusso di mezzi pesanti che porteranno il materiale compostabile nella fabbrica. La richiesta è stata posta alla società nella conferenza dei servizi che si è tenuta ieri in Regione. La "bretella" richiesta dovrebbe collegare via di Valle Caia e via Tor Maggiore.
«Il centro di compostaggio che sorgerà a via di Tor Maggiore vedrà un afflusso di circa venti camion al giorno che, se transitassero nel quartiere di Santa Palomba-Roma Due, creerebbero notevoli disagi alla viabilità, già congestionata su via dei Castelli Romani, e alla sicurezza dei residenti - spiega l'assessore Lorenzo Sbizzera - Abbiamo quindi richiesto alla società di valutare la realizzazione, a proprie spese, di una nuova strada che colleghi via di Tor Maggiore a via di valle Caia, escludendo così il transito nelle strade del quartiere e in via dei Castelli Romani. Cogea si è detta favorevole e attuerà tutte le valutazioni tecniche necessarie. Già la prossima settimana sono previsti sopralluoghi congiunti tra i tecnici comunali e quelli della ditta».
«Siamo fiduciosi sulla riuscita di questa variazione – aggiunge il sindaco Fabio Fucci – Come noto via di Valle Caia sarà ampliata grazie al nostro progetto che metterà in sicurezza il collegamento tra la Pontina e l'area industriale di Pomezia. Una nuova bretella che colleghi via di Valle Caia a via di Tor Maggiore ci consentirebbe, non solo di ridurre i disagi per i residenti di Santa Palomba relativi al transito dei mezzi di trasporto del materiale organico, ma anche di chiudere il traffico ai mezzi pesanti su via dei Castelli Romani e creare un’asse viaria per le merci alternativa e sicura. Abbiamo seguito con attenzione tutta la vicenda Cogea e continuiamo a lavorare affinché si riescano a ottenere le condizioni migliori per i cittadini e il territorio». http://www.ilcaffe.tv/articolo/31173/pomezia-il-comune-chiede-a-cogea-di-costruire-una-nuova-strada-a-santa-palomba

Rifiuti, si pensa a nuovi impianti Lo annuncia l'assessore Montanari, non vogliamo discariche

(ANSA) - ROMA, 31 GEN - "Per quanto riguarda l'obiettivo di diminuzione del 48% sia del rifiuto urbano che di quello organico, prevediamo il raddoppio dell'impianto di Maccarese da 20 a 40mila tonnellate e l'eventuale realizzazione di due nuovi impianti da 40mila tonnellate". Lo ha detto l'assessore all'ambiente di Roma Capitale, Pinuccia Montanari, durante l'audizione in commissione ecomafie. "Altre 175mila tonnellate - sottolinea - saranno trattate con la realizzazione di un centro di separazione spinta del multimateriale con annesso un centro di selezione per polimeri delle plastiche polimateriali. Si va poi verso la progressiva saturazione degli impianti di Laurentino e Rocca Cencia e la possibile riconversione dell'impianto Salario". L'assessore ha poi ribadito che "sull'utilizzo delle discariche dovremmo ragionare attentamente con la Regione, perché noi non vorremmo più che questo Paese si affidasse alle discariche".
   http://www.ansa.it/lazio/notizie/2017/01/31/rifiuti-si-pensa-a-nuovi-impianti_ef5d3727-297e-4fd2-bd98-694647dd04ce.html
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Strage Viareggio, condannati tutti i manager di Ferrovie. 7 anni all’ex ad Moretti. Il legale: “Sentenza populista”

Sette anni e mezzo per gli ex dirigenti di Rfi e Trenitalia Elia Soprano. L'attuale amministratore delegato di Finmeccanica è stato ritenuto responsabile per il periodo in cui era a capo di Rete Ferroviaria Italiana. I familiari delle 32 vittime: "La sentenza dimostra che il sistema di sicurezza non funziona, come diciamo da 7 anni" Gli ex vertici di Ferrovie, Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia sono stati condannati per la strage di Viareggio, il disastro ferroviario del 2009 che causò 32 morti. Tra gli imputati ritenuti colpevoli anche Mauro Moretti, ex ad di Rfi e di Ferrovie e attualmente a capo di Finmeccanica, per il quale i giudici del tribunale di Lucca hanno deciso una pena di 7 anni in una sentenza che per il suo legale Armando D’Apote “trasuda populismo”. A 7 anni e mezzo sono stati condannati, invece, l’ex ad di Rfi e Ferrovie Mauro Michele Elia (attualmente country manager al Tap per l’Italia) e l’ex ad di Trenitalia Vincenzo Soprano. L’accusa aveva chiesto 16 anni per Moretti e 15 per Elia. I giudici hanno fatto cadere alcune imputazioni contestate ai manager delle partecipate statali perché “il fatto non sussiste”. Moretti, secondo quanto spiegano i suoi avvocati, è stato assolto come amministratore delegato di Ferrovie, mentre è stato condannato come ex amministratore delegato di Rfi. Tra le società imputate sono state assolte anche Ferrovie e Fs Logistica, mentre sono state condannate Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia. Il titolo di Leonardo-Finmeccanica, dopo la lettura della sentenza, è crollato. E’ ora in corso un cda straordinario di Finmeccanica.
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DA MORETTI A ELIA: TUTTE LE CONDANNE – Una condanna di 9 anni e 9 mesi di reclusione è stata inflitta a Rainer Kogelheide, amministratore delegato della Gatx Rail Germany, azienda tedesca proprietaria del carro che deragliò la notte del 29 giugno 2009. Peter Linowski, responsabile dei sistemi di manutenzione della Gatx Rail Germany, è stato condannato a 9 anni e 9 mesi di reclusione. Johannes Mansbarth, amministratore delegato di Gatx Rail Austria, Roman Mayer, responsabile della manutenzione di Gatx Rail Austria, e Uwe Koennecke, responsabile dell’officina Jugenthal Waggon di Hannover che revisionò il carro, sono stati condannati a 9 anni di reclusione. Andreas SchroterHelmut Brodel e Uwe Kriebel, responsabile a vario titolo dell’officina Jungenthal Waggon di Hannover, sono stati condannati a 8 anni di reclusione.
Gli altri condannati sono Giuseppe Pacchioni (7 anni), Daniele Gobbi Frattini (6 anni e 6 mesi), Paolo Pizzadini (6 anni e 6 mesi), Emilio Maestrini (6 anni e 6 mesi), Giulio Margarita (6 anni e 6 mesi). Sei anni di reclusione sono stati comminati a Giovanni CostaGiorgio Di MarcoSalvatore AndronicoEnzo MarzilliFrancesco FavoAlvaro Fumi. Sette anni sono stati inflitti come detto a Mauro Moretti, nella veste di ex ad di Rfi, e Mario Castaldo, come direttore della Divisione Trenitalia Cargo, mentre sette anni e sei mesi sono stati inflitti a Michele Mario Elia, all’epoca ad di Rfi, e Vincenzo Soprano, ex ad di Trenitalia.
PROCURATORE: “PASSO AVANTI PER IL PROFILO DELLA SICUREZZA” – “E’ una sentenza importantissima, un grosso passo avanti anche verso il profilo della sicurezza” ha commentato il procuratore capo di Lucca Pietro Suchan. “Questa sentenza spero riuscirà a evitare ulteriori incidenti, fa fare un grande passo in avanti – ha concluso Suchan – e ci fa credere nel sistema giustizia”. “Abbiamo la coscienza di aver fatto tutto quello che era possibile, non ci siamo mai risparmiati” ha aggiunto Giuseppe Amodeo, uno dei pm che in aula ha rappresentato l’accusa, insieme al collega Salvatore Giannino. Parla di esito del processo “scandaloso” l’avvocato di Moretti, Armando D’Apote, che aggiunge di rilevare “il populismo che trasuda dal resto della sentenza”. “Esprimo parziale soddisfazione per l’assoluzione di Mauro Moretti nella sua veste di amministratore di Fs e di Ferrovie dello Stato” ha aggiunto”.
8 ASSOLTI SU 33 IMPUTATI – I giudici hanno assolto 8 dei 33 imputati per non aver commesso il fatto: Andreas Barth e Andreas Carlsson, dell’Officina Jungenthal di Hannover (che fece la revisione dell’asse del vagone che si spezzò), Joachim Lehmann, supervisore esterno sempre della Jungenthal, Massimo VighiniCalogero Di Venuta e Angelo Pezzati, in momenti diversi responsabili della Direzione compartimentale di Firenze Movimento Infrastrutture, Giuseppe Farneti, sindaco revisore di Fs prima e poi di Italferr, Gilberto Galloni, ad di Fs Logistica, Angelo Pezzati, predecessore di Di Venuta, Stefano Rossi e Mario Testa. A queste assoluzioni si aggiungono quelle per Moretti limitatamente ai reati contestati come ad di Ferrovie e per Soprano, solo per i reati contestati come ex dirigente di Ferrovie dello Stato. In tutto gli imputati erano 33 più nove società. Per loro i pm Giuseppe Amodeo e Salvatore Giannino avevano chiesto pene dai 5 ai 16 anni per un ammontare di oltre 250 anni. Per tutti gli imputati per il disastro che il 29 giugno 2009 causò 32 morti, le accuse andavano, a vario titolo, da disastro ferroviario, omicidio colposo plurimo, incendio colposo e lesioni colpose.
Un breve applauso ha salutato, dopo qualche minuto dalla lettura, la sentenza, dove tutti i familiari hanno ascoltato le parole del giudice in religioso silenzio. “Non siamo in grado di fare un ragionamento complessivo – ha detto Marco Piagentini, presidente del “Mondo che vorrei”, associazione dei familiari – Sono molti imputati, il dispositivo è stato molto lungo. Però possiamo dire che c’è una condanna e quindi un sistema della sicurezza che non funziona, come diciamo da 7 anni”. Piagentini ha ribadito quanto chiesto in un’intervista al Fatto: “Se loro si dichiarano innocenti – ha detto riferendosi ai manager di Ferrovie – possono benissimo rinunciare alla prescrizione e dimostrare la loro innocenza nel processo“. Il prossimo mese, infatti, scatta la prescrizione per una parte di reati. Moretti è attualmente alla guida di Leonardo-Finmeccanica, azienda statale attiva nei settori della difesa e della sicurezza. Il titolo in Borsa di Leonardo, dopo la lettura della sentenza, ha subìto un crollo verticale.
da Viareggio Alessandro Bartolini, Ilaria Lonigro e Emilia Trevisani di  | 31 gennaio 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/strage-di-viareggio-lex-ad-di-ferrovie-mauro-moretti-condannato-7-anni/3354478/

Abbattere i lupi? Una decisione crudele e inutile

Finisce anche quest’anno la stagione della caccia, portando con sé una scia di sangue e assurdità. Da settembre 2016 a fine gennaio 2017: 31 morti e 48 feriti, di cui 6 non cacciatori (gente che passava, camminava, pedalava o viveva in quei luoghi). Per non parlare dell’inquinamento da piombo (metallo tossico con cui sono fatte le munizioni): ricordiamoci che entro le fine del 2017, anche l’Italia dovrà vietare il piombo dalle munizioni dei cacciatori.
Molti considerano la caccia uno sportun passatempo: ma come fa ad esserci leale competizione tra chi è armato e chi è disarmato? La linea tra divertimento e cinismo è molto sottile, e anche il confine tra legalità e illegalità. Secondo alcuni dati, più dell’80% dei reati venatori gravi verrebbero compiuti da cacciatori con licenza, e l’81% dei reati venatori vengono commessi durante la stagione di caccia. Questo dimostra la stretta connessione fra caccia e illegalità. Anche i piani di abbattimento di specie alloctone o infestanti si rivelano soltanto un grosso regalo ai cacciatori.
Un esempio: i cinghiali. Per decenni gli enti provinciali, su pressione delle associazioni venatorie, hanno reintrodotto nelle aree di ripopolamento soggetti provenienti da allevamenti e perfino ibridati con maiali di origine balcanica. Questi ungulati, essendo molto prolifici, hanno completamente soppiantato la specie autoctona. C’è inoltre la cattiva abitudine di molti cacciatori di alimentare artificialmente i cinghiali, causando un aumento della popolazione e danni all’agricoltura.
Le ricerche scientifiche più aggiornate dimostrano che la caccia non è un rimedio efficace per contrastare i danni dei cinghiali all’agricoltura. Metodi alternativi, quali recinzioni elettriche, foraggiamento dissuasivo e il controllo della fertilità della fauna selvatica sembrano essere molto più efficaci.
Altro esempio, molto attuale: il lupo. Dopo secoli di sterminio, il lupo dagli anni 60 sta ripopolando i nostri monti, aiutando a tenere a bada la popolazione di ungulati e mantenendo in equilibrio l’ecosistema. Ai bambini a scuola si insegna che il lupo non è pericoloso per l’uomo, che il lupo ha il terrore dell’uomo, che siamo stati noi uomini a sterminarlo e per questo ora è specie protetta.
A quanto pare però, il nostro governo ha ancora paura dei lupi cattivi: dopo pochi mesi dalla soppressione del Corpo Forestale dello Stato (azione insensata), il governo fa un’azione ancora più insensata: nella Conferenza Stato-Regioni è passato un piano che prevede l’abbattimento controllato di lupi (fino al 5%). Questo piano sarà definitivamente approvato il 2 febbraio. Per il Wwf al momento non ci sono conoscenze sufficienti sul numero di esemplari e la loro reale distribuzione, non c’è neppure la prova di uno stato di conservazione favorevole della specie. Come possiamo pensare di abbatterli senza mettere nuovamente in pericolo la sopravvivenza della specie?
I cacciatori, dal canto loro, gongolano. Impallinare il lupo, il fiero predatore, il loro odiato concorrente, è il più grande dei loro sogni. Meno lupi in giro, più cervi e cinghiali in giro da uccidere. D’altra parte, uccidere lupi non risolverebbe il problema degli allevatori: gli esperti dicono che i branchi di lupi stabili e strutturati tendono a nutrirsi prevalentemente di ungulati selvatici (soprattutto cinghiale e capriolo), mentre gli individui singoli tendono a preferire gli animali domestici. Ogni attività di selezione e abbattimento tende invece a destrutturare i branchi con il risultato contrario a quello sperato: i lupi si disperdono sul territorio, non uccidono cinghiali e ungulati ma preferiscono animali domestici. Per evitare uccisioni di pecore e gravi danni ai pastori, basterebbe dotare i pastori di cani addestrati e recinzioni elettriche, e lasciar uniti i branchi.
Ma la lobby della caccia è molto potente, e non sente ragioni. In Veneto sono riusciti a far approvare dal Consiglio Regionale una legge assurda: introduce pesanti sanzioni pecuniarie nei confronti di chi cerca di ostacolare i cacciatori, multe fino a 3600 euro per i “pericolosi ambientalisti”. La caccia è inutile, crudele, dannosa. Ma una cosa va detta, a onor del vero. Cacciare non è più crudele e folle di allevare animali in lager, per poi massacrarli in modo industriale.
Ma questa, è un’altra storia. di  | 31 gennaio 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/abbattere-i-lupi-una-decisione-crudele-e-inutile/3354568/

Legambiente: “Contaminato da residui di pesticidi un terzo dei prodotti ortofrutticoli sulle tavole degli italiani”

Secondo il dossier ambientalista, gli alimenti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti) sono solo una piccola percentuale: l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014. Molto più alta, però, la contaminazione legale tra verdura, frutta e alimenti trasformati: 36,4% del totale. La presidentessa Rossella Muroni: "Lo studio evidenzia gli effetti di uno storico vuoto normativo, manca una regolamentazione specifica rispetto al problema del simultaneo impiego di più principi attivi sul medesimo ortaggio" Il tè verde fa bene, a meno che non risulti contaminato da un mix di 21 diverse sostanze chimiche. Stesso discorso per le bacche, tanto di moda nelle diete. Peccato che alcuni campioni analizzati in un laboratorio della Lombardia contenessero fino a 20 molecole chimiche differenti. Anche nell’uva da tavola e da vino, tutta di provenienza nazionale, sono stati trovati residui anche di 7, 8 o 9 sostanze contemporaneamente. Sebbene i prodotti fuorilegge (cioè con almeno un residuo chimico che supera i limiti di legge) siano solo una piccola percentuale (l’1,2% nel 2015, era lo 0,7% nel 2014), tra verdura, frutta e prodotti trasformati, la contaminazione da uno o più residui di pesticidi riguarda un terzo dei prodotti analizzati (36,4%). È quanto emerge nel dossier di Legambiente Stop pesticidi, che raccoglie ed elabora i risultati delle analisi sulla contaminazione da fitofarmaci nei prodotti ortofrutticoli e trasformati, realizzati dalle Agenzie per la Protezione Ambientale, Istituti Zooprofilattici Sperimentali e Asl. “Lo studio evidenzia gli effetti di uno storico vuoto normativo” ha dichiarato la presidente di Legambiente Rossella Muroni, secondo cui “manca ancora una regolamentazione specifica rispetto al problema del simultaneo impiego di più principi attivi sul medesimo prodotto”. Da qui la possibilità di definire “regolari”, e quindi di commercializzare senza problemi, prodotti contaminati da più principi chimici contemporaneamente se con concentrazioni entro i limiti di legge. “Senza tenere conto – ha spiegato la presidente – dei possibili effetti sinergici tra le sostanze chimiche presenti nello stesso campione sulla salute delle persone e sull’ambiente”.
LE SOSTANZE CHIMICHE IN AGRICOLTURA – Nonostante la crescente diffusione di tecniche agronomiche sostenibili, l’uso dei prodotti chimici per l’agricoltura in Italia rimane significativo. La situazione era migliorata tra il 2010 e il 2013 con un trend di diminuzione dell’uso pari al 10%, ma nel 2014 si è registrata una nuova inversione di tendenza e il consumo di prodotti chimici nelle campagne è tornato a crescere, passando da 118 a circa 130mila tonnellate rispetto all’anno precedente. Nel complesso, l’Italia si piazza al terzo posto in Europa nella vendita di pesticidi (con il 16,2%), dopo Spagna (19,9%) e Francia (19%), ma è seconda per l’impiego di fungicidi. In positivo, però, va segnalata la crescita delle aziende agricole che scelgono di non far ricorso ai pesticidi e di produrre secondo i criteri biologici e biodinamici, seguendo forme di agricoltura legate alle vocazioni dei territori. La superficie agricola biologica in Italia, infatti, tra il 2014 e il 2015 ha registrato un aumento del 7,5%.
I PRODOTTI CONTAMINATI – Anche quest’anno, la quantità dei residui di pesticidi che Agenzie per la protezione ambientale e Istituti zooprofilattici sperimentali hanno rintracciato resta elevata. Nel 2015 i laboratori pubblici accreditati hanno analizzato 9608 campioni (da agricoltura convenzionale) tra prodotti ortofrutticoli, trasformati e miele a fronte dei 7132 analizzati nel 2014. Salgono leggermente i campioni irregolari (1,2% nel 2015), mentre i prodotti contaminati da uno o più residui contemporaneamente raggiungono il 36,4% del totale, quindi più di un terzo. La percentuale di campioni regolari senza alcun residuo, invece, in leggero rialzo rispetto al 58% del 2014, si attesta al 62,4%. Tra i casi eclatanti, i prodotti di provenienza extra Ue come il tè verde con 21 residui chimici e le bacche con 20, ma anche il cumino con 14 diverse sostanze, le ciliegie con 13, le lattughe e i pomodori con 11 o l’uva con 9 principi attivi. Ancora una volta la frutta è il comparto dove si registrano le percentuali più elevate di multiresiduo e le principali irregolarità.
Uva, fragole, pere e frutta esotica (soprattutto banane) sono i prodotti più spesso contaminati dalla presenza di residui di pesticidi. Circa un terzo dei campioni (30,1%) analizzati dal laboratorio del Lazio, contiene uno o più residui di sostanze attive. Per quanto riguarda l’uva, tutti i campioni analizzati dai laboratori del Friuli Venezia Giulia presentano uno o più residui. In Liguria in un campione regolare sono stati rilevati fino a sette residui, mentre in Puglia si è arrivati anche a 9. Situazione simile anche in Sardegna, dove l’uva da tavola risulta essere sempre contaminata da più residui, in Umbria e Veneto, che registra la presenza di multiresiduo nel 62,5% dei campioni analizzati. In Emilia Romagna risultano contaminate il 46,1% delle insalate e l’81,6% delle fragole.
I DANNI PER L’AMBIENTE – “Ma il massiccio impiego di pesticidi non ha ricadute significative solo sulla salute delle persone – sottolinea Legambiente – perché una maggiore attenzione deve essere rivolta anche alle ricadute negative sull’ambiente”. Nuove molecole e formulati, infatti, sono stati immessi sul mercato senza un’adeguata conoscenza dei meccanismi di accumulo nel suolo, delle dinamiche di trasferimento e del destino a lungo termine nell’ambiente. Morale: “Occorre valutare meglio gli effetti in termini di perdita di biodiversità, di riduzione della fertilità del terreno, di accelerazione del fenomeno di erosione dei suoli”. Anche la salute delle acque è fortemente minacciata dall’uso non sostenibile dei  fitofarmaci. Tant’è che dall’ultimo Rapporto Nazionale pesticidi nelle acque, pubblicato quest’anno da Ispra risulta che nelle acque italiane sono state riscontrate ben 224 diverse sostanze, in netto aumento rispetto agli anni passati. di  | 31 gennaio 2017 http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/01/31/legambiente-contaminato-da-residui-di-pesticidi-un-terzo-dei-prodotti-ortofrutticoli-sulle-tavole-degli-italiani/3354712/