sabato 29 marzo 2014

29 Marzo 1995 Borgo Montello (LT). Don Cesare Boschin, 81 anni, fu trovato nel suo letto in canonica massacrato di botte, incaprettato, il cerotto sulla bocca. Vittima delle ecomafie.

Articolo del Quotidiano La Provincia del 30 Aprile 2009
Omicidio all’ombra dei rifiuti
di Rita Cammarone
La pista della rapina non portò a nulla. Un altro delitto sottoposto all’attenzione dell’Antimafia
Don Cesare Boschin pestato a morte. Un avvertimento alla gente del posto?
Don Cesare era sul letto, con un cerotto che gli chiudeva la bocca, la faccia e il corpo pieno di lividi, la tonaca indossata, legato mani e piedi con una corda che gli passava anche attorno al collo. Ecco la tragica fine di un prete, parroco di un borgo, avamposto di grandi interessi come la discarica di
Montello.
Era la mattina del 30 marzo 1995 quando la macabra scena apparve sotto gli occhi della perpetua. Gli inquirenti stabilirono che il decesso fu provocato da una cruente aggressione avvenuta all’interno del suo appartamento (l’autopsia stabilì che il parroco rimase soffocato da una protesi dentaria staccasi per via delle percosse). Ma chi lo ridusse in quello stato? E perché?
Gli interrogativi non furono mai sciolti. O meglio, la risposta restò soltanto nel limbo dei sospetti che alla fine finirono per gettare ombre sull’onorabilità della vittima. L’omicidio di don Cesare Boschin, da decenni parroco di Borgo Montello, fu bollato dalla cronaca come un delitto maturato negli ambienti gay e a scopo di rapina.  In pratica qualche giovane malfattore, in cerca di soldi, sarebbe stato ricevuto - la sera del 29 marzo - da don Cesare con l’illusione di un incontro proibito. Poi qualcosa sarebbe andato storto, dunque le botte, la morte per soffocamento della dentiera e la messa in scena dell’incaprettamento. Mentre i soldi, presumibile movente dei balordi, rimasero al loro posto: 800mila lire nella  tasca di don Cesare e cinque milioni in un cassetto della canonica. Sparirono invece due agende nelle quali il vecchio parroco annotava ogni dettaglio della sua vita e quella che scorreva nel borgo, tutt’altro che tranquilla.
E l’incaprettamento, possibile firma della malavita organizzata, finì per essere considerato un mero depistaggio. Ma solo agli occhi degli inquirenti. Perché al borgo, in pochi credettero a questa versione. Chi era don Cesare? Originario di Trebaseleghe (Padova), era arrivato a Borgo Montello negli anni Cinquanta. Un uomo puntiglioso e testardo e certamente non era uno che si faceva dire da altri quello che avrebbe o non avrebbe dovuto fare. Così i messaggi diretti o indiretti che di tanto in tanto riceveva, soprattutto negli ultimi cinque anni della sua lunga vita, non lo intimorivano affatto. Anzi, un bel giorno, prese il telefono e, attraverso uno dei suoi canali privilegiati, contattò chi di dovere. Forse l’inizio della sua disgrazia. A Borgo Montello soltanto da poco tempo si è tornati a parlare di don Cesare, mentre negli anni successivi alla tragedia il caso era diventato un tabù.
Non per don Cesare, ma per il messaggio celato con la sua uccisione.  Qualcuno, almeno più di una persona, quell’avvertimento deve averlo percepito in tutta la sua drammaticità. Tanto che in men che non si dica ciò che si stava organizzando al borgo, ovvero la battaglia per la legalità della discarica, fu subito sciolto come neve al sole. Via le carte del comitato, via anche il comitato medesimo. Mai più infilare le mani nei rifiuti, nei rifiuti che sporcano il territorio e che arricchiscono le tasche dei potenti.
Ma perché, cosa era successo? Era successo che nottetempo camion provenienti dalle concerie di Vicenza e Arezzo scaricavano rifiuti speciali, il cui «smaltimento» nella discarica di Borgo Montello sarebbe stato garantito ad un prezzo molto concorrenziale per via delle omesse procedure di legge. Don Cesare sapeva. Don Cesare sapeva, perché parlava con i suoi parrocchiani e «registrava » le confidenze di tutti, soprattutto di quelle madri preoccupate dei figli che dopo un paio di notti sui tir tornavano a casa con un mucchio di soldi.
Voci, testimonianze, conferme. Mai smentite. Il bubbone scoppiò a seguito di una denuncia sporta da un ragazzo che, per vendicare il suo licenziamento, raccontò di certi fusti sospetti interrati nei pressi della discarica. Raccontò di operazioni di carotaggio prima, e di maxi sepolture dopo. Forse fu lui a parlare per primo di un intero rimorchio con tanto di carico sotterrato nella zona S-zero. Forse, perché nel frattempo il comitato civico, con al fianco il parroco, riuscì a convincere l’amministrazione comunale di Latina ad intervenire. Il sindaco Ajmone Finestra incaricò l’Enea per le ricerche. L’esito, con tanto di rilevi positivi sulla concentrazione di metalli, scomparve misteriosamente.
In un successivo studio la parte riguardante i rilievi fu omessa. Sulla questione neanche la Digos riuscì a cavare un buco dal ragno: dopo la testimonianza del ragazzo licenziato, gli agenti della Questura indagarono sul caso. Soltanto che nel frattempo eseguire scavi era diventato impossibile per via della successiva stratificazione dei rifiuti, ma una bolla di trasporto rintracciata dagli investigatori segnava un percorso tutt’altro che trascurabile nella redditizia filiera dei rifiuti radioattivi: Livorno, Latina, Caserta. Mentre le cronache dell’epoca parlavano della nave dei veleni. Siamo ad inizio anni ’90. E’ in questo contesto che va letto il messaggio dell’uccisione di Cesare Boschin? Dire alla gente del posto di tacere per non fare la stessa fine del vecchio parroco?



Articolo dell'Unità del 23 Agosto 2009
Don Cesare Boschin che aspetta ancora di avere giustizia
Il parroco di Borgo Montello (Lt) fu trovato incaprettato in canonica. Aveva raccontato di uno strano giro di rifiuti Don Ciotti chiede oggi di riaprire l’inchiesta sulla sua morte
l problema è che don Cesare sapeva tutto. Arrivato a Borgo Montello, frazione di Latina, negli anni cinquanta dal Veneto, era un prete di quelli che scambiano la strada per la chiesa e nella strada trovano le omelie più giuste per la domenica. Per questo, perché glielo diceva la strada, don Cesare Boschin pochi giorni prima del 30 marzo 1995 era andato a trovare  il capitano dei carabinieri. E avevano parlato a lungo delle cose strane che stavano accadendo intorno e accanto alla discarica: carichi notturni, via vai di camion, cattivi odori. Troppo tardi. O troppo presto. Perché la mattina del 30 marzo 1995 don Cesare, 81 anni, fu trovato nel suo letto in canonica massacrato di botte, incaprettato, il cerotto sulla bocca. Un assassinio di violenza inaudita liquidato lì per lì come una rapina di balordi, forse polacchi. Poi soffiò la calunnia, «una vendetta maturata in ambienti gay»: fa così la mafia quando vuol confondere le idee e depistare. Di quella storia, infatti, per anni non si è saputo più nulla a parte qualche temerario locale come Elvio Di Cesare, presidente dell’associazione Caponnetto-Lazio, che ha continuato a cercare e scavare. Oggi la morte di don Cesare Boschin diventa un capitolo della complessa vicenda delle infiltrazioni di mafia nel sud del Lazio. DonCiotti e Libera chiedono la riapertura dell’inchiesta collegandola «a una vendetta da parte delle ecomafie». Scrivono i pm della Dda di Roma Diana DeMartino e Francesco Curcio, titolari delle inchieste Damasco 1 e 2 che hanno portato in carcere mezza amministrazione comunale di Fondi con l’accusa di essere collusa con gli interessi delle ‘ndrine calabresi e dei clan di camorra attivi nell’Agro Pontino: «Nella stragrande maggioranza dei casi si è proceduto da parte delle diverse autorità giudiziarie di questo distretto (Latina ndr.) rubricando la massa dei fatti oggetto di indagine – in realtà di stampo mafioso – in fatti di criminalità comune».
Quattordici anni dopo il dossier di don Cesare torna nell’agenda della cronaca. L’associazione «Articolo 21» - ospite della giornata della legalità organizzata ieri dal Pd nella piazza di Fondi, comune infiltrato che il governo non vuole sciogliere - ha ricordato come già nel 1996 Carmine Schiavone, cassiere dei cartelli casalesi, avesse spiegato gli interessi dei clan di camorra e delle ‘ndrine calabresi sul basso Lazio, droga, rifiuti, appalti, la politica. Schiavone raccontò la spartizione degli affari città per città. AFondi c’erano i Tripodo, delle nota famiglia di ‘ndrangheta: «Si occupavano di  stupefacenti, noi gli davamo dai 15 ai 30 kg al mese di cocaina». I fratelli Tripodo sono i protagonisti delle inchieste Damasco e la chiave per capire la capacità di infiltrazione della mafia nel territorio dell’Agro Pontino. E si torna a don Cesare, alle ecomafie e al movente del suo assassinio. Don Cesare sapeva che in quei mesi del ’95 nella discarica di Borgo Montello arrivavano di notte camion carichi di fusti di rifiuti. Glielo dicevano le persone che incontrava per strada. Glielo dicevano le mamme i cui figli guadagnavano «500mila lire a viaggio». Da dove? Allora navigavano lungo le coste italiane navi zeppe di rifiuti tossici. Non le voleva nessuno, per un po’ furono ormeggiate a Livorno. Solo anni dopo furono trovate bolle che testimoniavano che quei camion si muovevano lungo la tratta Livorno-Borgo Montello-Caserta. Solo oggi la Regione Lazio ha dato ordine di verificare cosa c’è sotto «S-zero», la parte dismessa della discarica di Borgo Montello. L’Arpa ha sentenziato in questi giorni: ci sono fusti tossici, a centinaia. Quelli di cui parlava don Cesare  con il capitano dei carabinieri pochi giorni prima di morire.



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Don Ciotti a Borgo Montello per commemorare don Cesare Boschin vittima della camorra

Borgo Montello (LT) don Ciotti, il prete antimafia per ricordare il sacrificio di don Cesare Boschin ucciso dalla camorra nel 1995. A 15 anni da questo omicidio fino ad oggi senza colpevoli si è arrivati vicino alla verità


Articolo del 18 marzo 2012 da  pontiniaecologia.blogspot.it 

Omicidio di don Cesare Boschin: riaprire le indagini

(oggi sui quotidiani locali http://ww7.virtualnewspaper.it/quotidiano/books/120318latina/index.html#/8/)

Qualcosa torna a muoversi attorno all'omicidio di don Cesare Boschin, un mistero lungo 17 anni.

A una settimana di distanza dall'ennesima interrogazione parlamentare con cui è stato chiesto di far luce sul delitto, arrivano le prime conferme alle indiscrezioni su nuove indagini relative all'uccisione del parroco, ai presunti affari loschi avvenuti negli anni novanta all'ombra della discarica di Montello e all'ipotesi che la morte del parroco non sia stato il risultato di una rapina degenerata, ma un messaggio chiaro inviato dalla malavita ai borghigiani: «Se parlate farete la stessa fine». Negli ultimi mesi infatti, a Borgo Montello, si sono presentati investigatori di Latina e Roma, che hanno bussato alle porte di diversi borghigiani, chiedendo informazioni sulla vicenda.
Degli agenti di polizia giudiziaria, qualificatisi come poliziotti del capoluogo pontino, hanno fatto domande in giro relativamente alla discarica, a quel che avveniva nel borgo una ventina d'anni fa e sul delitto del sacerdote. Altri investigatori, di Roma, sostenendo di essere stati inviati dall'Antimafia, hanno fatto domande analoghe. Dopo che sono stati finanziati gli scavi nella discarica, per accertare se realmente a Montello sono stati interrati fusti tossici, come rivelato dal pentito Carmine Schiavone, potrebbe così arrivare la verita anche sul delitto.
Don Cesare Boschin, alle nove del mattino del 30 marzo 1995, fu trovato privo di vita dalla perpetua Franca Rosati, recatasi come di consueto nella canonica. La porta della camera del sacerdote 81enne, da 45 anni alla guida della parrocchia S. Annunziata di Borgo Montello, era socchiusa. L'anziano parroco era sul letto, con mani legate e bocca chiusa da un nastro adesivo, il corpo coperto di lividi, privo di vita. Venne accertato che all'81enne gli aggressori avevano fatto ingoiare la dentiera ed era morto per soffocamento. La stanza era in disordine e gli inquirenti pensarono subito a una rapina degenerata, indagando inizialmente su alcuni tossicodipendenti. Nella stanza era stata però lasciata una preziosa croce d'oro e il portafogli di don Cesare, contenente 700mila lire, oltre a una busta con sette milioni di lire. A sparire erano state invece due agende su cui il sacerdote annotava tutto. Una strana rapina. Gli investigatori, dopo aver battuto anche la pista omosex, si convinsero però che l'assassino fosse un polacco, che lavorava nel borgo in nero come muratore, e che in concomitanza con il delitto sarebbe tornato nell'Est. Un caso irrisolto, che ora grazie soprattutto alle denunce di «Libera» torna a occupare gli investigatori.
Clemente Pistilli www.dimmidipiu.it



[Settimanale Tgr Lazio] I misteri di Borgo Montello e la morte di Don Cesare Boschin

La storia dei fusti tossici che - secondo il pentito di camorra Carmine Schiavone - sarebbero stati sepolti nella discarica; la morte di Don Cesare Boschin, trovato incaprettato in parrocchia; le inchieste giudiziarie e le paure, di ieri e di oggi. I misteri di Borgo Montello, frazione agricola di Latina, nel servizio di Alfredo Di Giovampaolo, trasmesso dal "Settimanale" del Tgr Lazio il 17 marzo 2012. Riprese e montaggio Danilo Paniccia



DON CIOTTI: "RIAPRIRE IL CASO DI DON BOSCHIN"
TREBASELEGHE - Un sacerdote padovano denuncia traffici illeciti di rifiuti tossici nel suo paese e viene assassinato dalla camorra. E' ancora senza un colpevole l'omicidio di don Cesare Boschin, avvenuto nel 1995. I suoi parenti e concittadini di Trebaseleghe chiedono la riapertura delle indagini. A sostenerli è arrivato in paese don Luigi Ciotti di Libera. - Intervistati: Don LUIGI CIOTTI (Fondatore "Libera"), LORENZO ZANON (Sindaco di Trebaseleghe (PD)), LUCIANO BOSCHIN (Nipote di don Cesare)
 http://vittimemafia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=629:29-marzo-1995-borgo-montello-lt-don-cesare-boschin-81-anni-fu-trovato-nel-suo-letto-in-canonica-massacrato-di-botte-incaprettato-il-cerotto-sulla-bocca-vittima-delle-ecomafie&catid=35:scheda&Itemid=67


http://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Boschin

Cesare Boschin

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Cesare Boschin (Trebaseleghe8 ottobre 1914 – Borgo Montello29 marzo 1995) è stato un presbitero italiano misteriosamente assassinato.
Il suo omicidio è tuttora irrisolto. Associazioni locali e movimenti nazionali come Libera ritengono che sia stato ucciso perché si oppose alle infiltrazioni della camorra nel Lazio.

Biografia[modifica | modifica sorgente]

I primi anni[modifica | modifica sorgente]

Don Cesare Boschin nasce a Silvelle di Trebaseleghe, in provincia di Padova, terzo di otto figli. Il padre Giuseppe è un muratore, la madre Clementina Cazzaro è casalinga.
Frequenta la scuola e la parrocchia nella frazione di Silvelle, quindi a Piombino Dese. Entra nel seminario di Treviso ma deve lasciarlo per le difficoltà economiche della famiglia che non può permettersi la retta.
Accolto nella Piccola Casa della Divina Provvidenza di don Luigi Orione, riprende gli studi prima a Tortona, quindi a Genova.
Il 12 luglio 1942 viene ordinato sacerdote nel Santuario della Madonna del Caravaggio a Fumo, frazione del comune di Corvino San Quirico, paese del quale sarà viceparroco negli anni dellaseconda guerra mondiale.
Nel 1945 viene trasferito a Roma, quindi ad Anzio per assistere la popolazione duramente colpita dagli eventi bellici. Nel 1950 accetta la proposta del vescovo di Albano di occuparsi della ricostruzione della chiesa di Santa Maria Goretti a Le Ferriere, nel comune di Latina. Per via delle sue origini, decidono di affidargli anche la vicina parrocchia della Santissima Annunziata a Borgo Montello, popolata in larga parte da emigranti veneti.
Don Cesare è attivissimo: fonda l'Azione Cattolica e promuove diverse iniziative per i giovani del borgo. Cerca di alleviare la fame e la povertà, trovando lavoro agli sfollati o la terra per i contadini.
Nel corso degli anni sessanta per il suo attivismo deve subire attacchi e calunnie. Alla proposta del vescovo che vuole inviarlo in un'altra parrocchia per salvarlo dai pettegolezzi, don Cesare annuncia che preferisce restare a Borgo Montello e "portare la sua croce".

L'omicidio[modifica | modifica sorgente]

La mattina del 30 marzo 1995 il suo cadavere venne ritrovato incaprettato (con le mani e i piedi legati e una corda intorno al collo) dalla perpetua nella sua camera da letto. Venne rinvenuto con il corpo ricoperto da lividi, la mascella e diverse ossa fratturate, la bocca incerottata. L'autopsia stabilì la morte per soffocamento provocato dalla dentiera ingoiata dal parroco per via delle percosse.
Gli assassini portarono via le due agende in cui don Cesare era solito annotare tutto, lasciando una preziosa croce in oro, il portafoglio del sacerdote che conteneva ottocentomila lire. Altri cinque milioni nascosti in un armadio furono rinvenuti due mesi dopo e donati - secondo le sue disposizioni - a Madre Teresa di Calcutta.
Le indagini furono inizialmente rivolte negli ambienti della tossicodipendenza, si ritenne che don Cesare fosse stato ucciso dopo un tentativo di rapina andato a male da parte di alcuni ragazzi di una vicina comunità di recupero. Questa tesi fu sposata anche dall'allora vescovo di Latina, Domenico Pecile, nell'omelia del funerale.[1]
La teoria della rapina non riuscì però a giustificare il fatto che i presunti ladri non avessero prelevato il denaro dalla canonica.[2] Le inchieste, allora, puntarono ad approfondire alcuni voci che avevano iniziato a girare a Borgo Montello subito dopo l'omicidio: si diceva che don Cesare frequentasse gli ambienti gay clandestini della zona. La notte della sua morte, il parroco avrebbe ricevuto dei ragazzi per un incontro sessuale, ma la situazione era degenerata. Le voci furono prontamente smentite dai parrocchiani del borgo[3][4]. La procura comunque fermò e interrogò alcuni giovani polacchi ma le indagini si conclusero quattro mesi dopo con l'archiviazione del caso.[5]

La pista della camorra[modifica | modifica sorgente]

Il 29 luglio del 2009, durante un convegno a Roma don Luigi Ciotti chiese davanti al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la riapertura dell'inchiesta sulla morte di don Boschin. Il suo appello fu subito fatto proprio da diverse associazioni antimafia del Lazio nonché dall'Azione Cattolica della diocesi di Latina e dall'Agesci pontina.[6]
Don Ciotti era fatto portavoce a livello nazionale delle richieste di un gruppo di cittadini di Borgo Montello che legava la morte del loro parroco ai traffici di rifiuti tossici smaltiti illegalmente dallacamorra in una vicina discarica. Traffico che è stato confermato negli anni da numerosi pentiti[3] e che ha ritrovato riscontri dopo il ritrovamento nell'estate dello stesso anno di rifiuti tossici interrati nella zona.
Nei mesi precedenti alla morte di don Cesare, la popolazione residente nei dintorni della discarica, per protestare contro strani miasmi che si erano intensificati nel tempo, aveva costituito un comitato di protesta. Il parroco aveva accettato di ospitare il comitato nei locali della chiesa. Il comitato, nelle sue richieste di legalità e giustizia, iniziò a sospettare traffici illeciti nel territorio. I sospetti trovarono le prime conferme dopo la denuncia di uno dei giovani disoccupati locali impiegati dalla criminalità organizzata per trasportare i rifiuti nella discarica.[7]
Don Cesare e il comitato civico riuscirono a convincere l'allora sindaco di Latina Ajmone Finestra a richiedere l'analisi del terreno per rilevare eventuali contaminazioni.[7] Il comitato iniziò a subire le prime ritorsioni per la sua battaglia: nel borgo comparvero scritte minacciose, le case di alcuni membri furono oggetto di sparatorie, lo stesso don Cesare subì diverse intimidazioni.[8]
Una settimana prima dell'omicidio, il parroco si sarebbe recato a Roma per chiedere la fine dei traffici ad alcuni politici della ormai disciolta Democrazia Cristiana, alla quale si era rivolto in passato per trovare lavoro ad alcuni suoi parrocchiani.[8] Successivamente avrebbe incontrato il capitano provinciale dei carabinieri per le stesse ragioni.[7]
La sua morte sarebbe stata quindi una vendetta della criminalità organizzata per stroncare la protesta dei residenti. In effetti, subito dopo l'omicidio, il comitato si scolse e sulla discarica scese il silenzio.[7] Le stesse modalità della morte, con l'incaprettamento tipico degli omicidi mafiosi, sarebbero secondo Libera una conferma della pista camorristica. Alla sua morte sarebbe legato anche l'omicidio dell'avvocato Enzo Mosa a Sabaudia il 2 febbraio del 1998.[7]
In un'intervista a Lazio Tv, il pentito di camorra Carmine Schiavone ha sostanzialmente confermato che "Don Cesare è stato ucciso per questi motivi, perché aveva capito qualcosa".[9]

Note[modifica | modifica sorgente]

  1. ^ Prete ucciso nel letto
  2. ^ giallo nell'omicidio del parroco di Latina: scomparse due agende
  3. ^ a b Si riapra l'inchiesta sulla morte di don Cesare Boschin | PaoloBorrello | Il blog di Paolo Borrello | Il Cannocchiale blog
  4. ^ Strane Storie: Don Cesare Boschin, eroe dimenticato
  5. ^ Don Cesare Boschin La verifica che aspetta ancora di avere giustizia « Circolo PD Latina Nord
  6. ^ Libera - Luigi Ciotti chiede verità sulla morte di don Cesare
  7. ^ a b c d e http://www.comitato-antimafia-lt.org/public/uploads/2009/05/lt3004-006.pdf
  8. ^ a b Il Tempo - Latina - «Don Cesare Boschin temeva di morire»
  9. ^ http://www.dailymotion.com/video/x179l6a_latina-il-pentito-schiavone-a-lazio-tv_news

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