giovedì 27 febbraio 2014

SCANDALO DEL BIOGAS NELLE MARCHE: SOLDI NOSTRI E TASCHE LORO

SOLITI NOMIAutorizzazioni per nuove centrali, che valgono un miliardo in incentivi, finite a imprese care alla politica grazie a una legge incostituzionale LA MAPPA DELL’A F FA R E Quaranta autorizzazioni (alcune richieste, altre già concesse) significano enormi profitti per gli imprenditori e una “r i s c r i t t u ra ” del territorio regionale. Accanto, una centrale a biogas tedesca Infografica di Pierpaolo Balani/LaPresse e Marco Palombi Quando si dice la sfortuna. Gian Mario Spacca, presidente Pd della Regione Marche, non si dà pace: una leggina, una misera leggina regionale sul biogas, e la sua giunta rischia di andare a picco, il suo partito si spacca, i funzionari della Regione si ritrovano indagati dalla magistratura insieme ai suoi amici imprenditori e i comitati locali e il M5S (primo partito alle Politiche 2013) gli stanno addosso e non smettono di metterlo in difficoltà. E pensare che Lombardia e Emilia Romagna ne hanno una quasi uguale, di leggina sul biogas, ma solo lui si trova in questo casino. Il governo Monti gliela impugnò davanti alla Consulta, che ha poi dato ragione al governo. Proprio sfortuna, si rammarica Spacca. In realtà, la legge 3 del 2012 sul biogas non è proprio una “leggina”: basti dire che autorizza centrali che al momento valgono per i proprietari – di soli contributi pubblici – circa un miliardo di euro in 15 anni. Per non parlare dei nomi dei protagonisti, che danno alla vicenda un tocco di glamour in più: Spacca, appunto, Paolo Petrini, ex assessore all’Agricoltura ora deputato, gli imprenditori Pesaresi, Tanoni, Lazzarini e altri. Un quadretto di famiglia che si ritrova pari pari, come vedremo, nelle camere di compensazione del potere regionale e su cui aleggia il nome dei reucci della zona, i Merloni: ex loro dipendente il governatore, soci in varie imprese gli altri. Quella che segue è la storia del biogas marchigiano: forse un affare sporco (lo decideranno i giudici), certo un pasticcio burocratico e l’ennesimo caso di scarsa autonomia della politica rispetto agli interessi economici. Senza passare dalla Via Il biogas dovrebbe funzionare come attività connessa a quella agricola: coi prodotti di scarto si alimentano piccole centrali che rendono autonoma l’azienda, l’eventuale eccedenza di energia si rivende. Chi decide di impiantare una centrale di questo genere ha diritto agli incentivi – soldi pubblici – erogati dal Gestore del servizio elettrico nazionale (Gse): in sostanza è un aiuto al settore agricolo o doveva esserlo. A questo punto arrivano infatti le leggine. La Regione Marche, ad esempio, ha deciso di semplificare le pratiche burocratiche: gli impianti inferiori a 1 MegaWatt – dice la norma – non hanno bisogno di Valutazione d’impatto ambientale (VIA). Una volta ottenuti i permessi burocratici, insomma, si costruisce e basta. Qual è il problema? Intanto la cosa è in contrasto con la direttiva europea sul tema e dunque incostituzionale; in secondo luogo, una centrale da 1 MW non è affatto piccola visto che per farla funzionare bisogna coltivare oltre 300 ettari amais. Se si pensa che la Regione Marche ha ricevuto una quarantina di richieste di autorizzazione per centrali da 0,99 MW – di cui circa venti concesse o in via di concessione, cui vanno aggiunti una decina di impianti già attivi – si capisce che il biogas sta cambiando la natura stessa del territorio: niente più agricoltura per produrre cibo, ma coltivazioni intensive per produrre energia. Il motivo è semplice: una centrale da 0,99 MW garantisce di soli incentivi pubblici all’i mprenditore 2,4 milioni di euro l’anno per 15 anni. Vale a dire circa 32 milioni sicuri al momento di posare la prima pietra: è una speculazione finanziaria che con l’agricoltura (e la tutela dell’ambiente) non ha niente in comune. Le prime centrali sono autorizzate nell’aprile 2012 – Camerata Picena e Castelbellino, in provincia di Ancona – e da lì è un profluvio. Solo che non bastava la leggina di favore, le procedure autorizzative sono state pure frettolose, inaccurate, spesso incomplete: il sindaco di Fano, Stefano Aguzzi, in conferenza dei servizi è stato costretto a chiamare i carabinieri per far verbalizzare la sua contrarietà all’autorizzazione di due centrali nel suo Comune visto che il dirigente regionale, Luciano Calvarese, si rifiutava di mettere la cosa per iscritto. C’è poi il caso delle fideiussioni fantasma. È obbligatorio, prima di costruire, mettere da parte i soldi (sotto forma di fideiussioni bancarie o assicurative) per quando bisognerà smantellare le centrali. In un caso – per un impianto a Jesi – la garanzia risulta fornita dalla Ansbacher, banca inglese già indagata per truffa internazionale. La cosa curiosa è che sul sito della Ansbacher si legge che il gruppo, dal 31 ottobre 2011, ha cessato ogni attività bancaria e, dunque, le garanzie rilasciate dopo quella data non sono valide: “Un certo numero di operazioni a La festa per gli imprenditori del biogas sembra all’inizio, ma accade l’imponde - rabile. Nella primavera del 2012, il governo di Mario Monti fa due cose: prevede che gli incentivi per le centrali grandi (tipo 1 MW) siano sensibilmente ridotti dal 1 gennaio 2013 e impugna proprio la leggina marchigiana per violazione del diritto comunitario. Il 22 maggio 2013, come detto, la Corte costituzionale gli darà ragione: in base alla direttiva Ue non si possono escludere screening preliminare e VIA “per mezzo della mera individuazione di soglie dimensionali”. Il comitato Terre Nostre Marche – che è l’artefice di buona parte dei guai di Spacca – chiede di annullare le autorizzazioni in autotutela e già che c’è presenta un esposto alla Corte dei conti: non è che alla fine ci saranno danni erariali? Non solo: la deputata del Movimento 5 Stelle Donatella Agostinelli – che è anche tra i fondatori del comitato – invia pure una diffida al Gestore elettrico per sospendere gli allacci alla rete e il pagamento dei contributi pubblici (gli impianti attivi hanno già incassato la prima rata). Esce pure la notizia che la Procura di Ancona – siamo al marzo 2013 – indaga sull’affare biogas. Panico ad Ancona. Un pezzo dello stesso Pd comincia a mugugnare, Spacca è preoccupato. Eppure il presidente non fa la cosa più ovvia: cancellare le autorizzazioni rilasciate con una legge incostituzionale e darne semmai di nuove. C’è il problema, infatti, che i nuovi incentivi post-Monti non sono convenienti come i vecchi. Pensa che ti ripensa, il governatore trova la soluzione: il 16 dicembre 2013 firma una nuova delibera che rinnova le autorizzazioni in essere, consentendo così una sorta di Via postuma, successiva persino alla costruzione degli impianti. Il comitato Terre Nostre l’ha definita “un pacco di Natale”. Quando la sfortuna s’accanisce, però, sono dolori e Spacca ormai è come Fantozzi: non solo il Consiglio regionale s’è rifiutato di approvare il Pacco di Natale in tutta fretta come chiedeva lui, ma il Consiglio di Stato – con una sentenza del 19 febbraio innescata dalla solita denuncia di Terre Nostre – ha escluso (per un impianto a Osimo) che una VIA postuma possa sanare l’illegalità iniziale. Ora la Giunta marchigiana rischia seriamente di saltare in aria. Tanta protervia del potere regionale forse si spiega coi nomi che hanno deciso di investire nel biogas marchigiano. Non si tratta, come sarebbe lecito aspettarsi, di aziende agricole, ma di alcuni tra i nomi più rilevanti dell’im - prenditoria marchigiana. Il grosso af-fare del biogas, insomma, è terreno di pascolo dei soliti noti: i Pesaresi (tanto il capostipite Mario quanto il figlio Paolo, sempre impeccabilmente abbronzato, forse per via della sua passione per gli yacht ), i Lazzarini di Morrovalle (Lorenzo e Alessandro, fondamentali perché hanno portato in dote i loro terreni), l’avvocato recanatese Paolo Tanoni e - indirettamente - Francesco Merloni, un pezzo dell’ari - stocrazia imprenditoriale della regione, peraltro sposato con una Lazzarini. I primi tre sono tutti soci nell’impresa del biogas e di casa nei salotti buoni del potere regionale come Fondazione Marche, dove sotto la presidenza di Merloni, si ritrovano tutti: Lazzarini, Tanoni, Pesaresi e pure Gian Mario Spacca, consigliere per conto della Regione. Anche in Marche Capital – so - cietà nata per “cogliere l’opportunità offerta dai programmi comunitari che finanziavano l’avviamento di venture capital per le Pmi”–si ritrovano gli stessi nomi. E pure nelle autorizzazioni per il biogas. Una dozzina almeno sono finite a società dal nome quasi identico: Vbio1, Vbio2 e così via. Di chi sono? Sono di proprietà della Viridis Energia, ma gli altri ci sono tutti: tra i 13 avvisi di garanzia inviati nel marzo scorso ci sono gli imprenditori di cui vi abbiamo parlato e i tre funzionari regionali responsabili del procedimento. Questi ultimi – Luciano Calvarese, Sandro Cossignani eMauro Moretti – s e c o ndo l’accusa avrebbero in realtà partecipato all’affare in veste di soci occulti dei bio-imprenditori: persino l’a n z i ana madre di Cossignani risulterebbe socia dei Lazzarini in due centrali. Le ipotesi di reato non sono leggere: si va dall’associazione a delinquere finalizzata alla truffa in giù. Spacca, Petrini e il resto della Giunta regionale non risultano coinvolti e si dichiarano anzi “parte lesa”, va ricordato però che Calvarese ha dichiarato pubblicamente che “la fretta” con cui aveva chiuso il procedimento autorizzativo sul biogas gli era stata imposta dai suoi referenti politici. Non risulta sia stato smentito. alla cui guida si succedono proprio Paolo Pesaresi e Antonio Lazzarini; la Viridis, a sua volta, è partecipata al 50 per cento dalla Lagi Energia dei fratelli Lazzarini e da Echidna spa, che invece è di proprietà di Mario Pesaresi e Paolo Tanoni. Piccola curiosità: la Echidna risulta socia anche di New Energy Development, una holding in cui figurano tra gli altri Francesco Merloni, ancora Pesaresi e pure Marche Capital. C’è un particolare, infine, che legittima il sospetto che la tavola - per così dire - fosse apparecchiata fin dall’inizio: tutte le società Vbio furono create prima della legge regionale sul biogas ed erano inattive al momento di presentare la richiesta di autorizzazione. Non manca nemmeno un’inchiesta giudiziaria sullo scandalo delle autorizzazioni per il biogas, nata a seguito degli esposti del comitato Terre Nostre e del M5S alla Guardia di Finanza. La Procura di Ancona sta per chiudere le indagini e finora si è ben guardata dal coinvolgere la politica regionale, Il fatto quotidiano 26 febbraio 2014

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