venerdì 31 gennaio 2014

Terra dei fuochi, Findus allarga la zona rossa dove non vengono acquistati i prodotti agricoli, agricoltori disperati

IL COLOSSO ALIMENTARE HA DECISO DI NON COMPRARE I PRODOTTI AGRICOLI DI UNA VASTA AREA TRA NAPOLI E CASERTA: “MISURA PREVENTIVA” DISPERATI I coltivatori della zona sono furiosi: ”Anche quando la merce è sana dobbiamo svenderla sottocosto” di Andrea Postiglione e Nello Trocchia Napoli Le grandi aziende in fuga dalla provincia di Napoli e Caserta. Da quelle zone non si comprano più prodotti agricoli. Un marchio, “Terra dei fuochi”, affibbiato a un intero territorio, usato con logica generalizzante, rischia di distruggere il settore agricolo, tra i motori economici dell'intera area. Un documento dello scorso dicembre – che il Fatto ha letto – firmato dal responsabile dell'area acquisti del settore agricolo della Csi, compagnia surgelati Italia, il noto marchio Findus, spiega: “C'è un'area della Campania nella quale sono vietate tutte le coltivazioni senza deroghe possibili”. In allegato al documento c'è l'area delimitata così vasta da ricomprendere la provincia di Caserta e quella di Napoli, lato mare, da Mondragone fino a Licola, e nella parte interna, da Capua fino a Nola. La nota aggiunge che nella parte restante della Campania sono consentite le coltivazioni, ma con precauzioni. Dalla valutazione di ciascuna azienda fino addirittura a una “valutazione visiva del rischio ambientale”. ABBIAMO CHIESTO alla Findus se il perimetro delimitato è basato su analisi scientifiche o unicamente sulla generalizzata dicitura Terra dei fuochi, ecco la risposta via email: “Non abbiamo mai acquistato prodotti ortofrutticoli nella cosiddetta area ‘Terra dei fuochi’. In via preventiva abbiamo recentemente deciso di limitare ulteriormente le aree di approvvigionamento nella Regione Campania di patate e verze”. Nessuna spiegazione aggiuntiva nonostante le telefonate e le domande poste. Un caso, quello Findus, anticipato da Fanpage , che riguarda anche altre aziende. “In una lettera – racconta un agricoltore di Acerra, provincia di Napoli – un altro marchio di surgelati ha chiesto di evitare l'acquisto di prodotti da comuni di questa area, ma così ci mettono alla fame”. Il risultato è una catena che rischia di incepparsi con un fallimento multiplo. “Noi stiamo supplendo al ruolo delle banche – racconta l'imprenditore Francesco Pirolo –, vendiamo piantine ai contadini ai quali facciamo credito. Oltre al comparto agricolo, intorno è tutto fermo. Siamo noi la vera Fiat e se chiudiamo fallisce un popolo”. Così a pagare il prezzo più caro sono i contadini onesti e l'agricoltura sana. “Capisco la difficoltà della grande distribuzione – spiega il tecnico agronomo Silvestro Gallipoli – ma c'è bisogno di responsabilità nei confronti dei fornitori. Coop Italia, ad esempio, non ha sospeso l'approvvigionamento, ma verifica con analisi puntuali la bontà dei prodotti continuando a commercializzarli”. PAOLO PETRELLA è imprenditore agricolo. Patate, cachi, kiwi, noci sono il suo oro. Si siede alla scrivania e stampa fogli con timbro e intestazione. “Eccole le analisi dei prodotti, le abbiamo fatte con i nostri soldi in laboratori privati. Mandateci l'Asl, l'Arpac, tutti i controlli che volete, i nostri prodotti sono ottimi e certificati. Non si può, per terreni contaminati che vanno circoscritti con una mappatura immediata, distruggere un intero settore”. E Petrella spiega che nessun prodotto di queste terre deperisce: “Il problema è che noi vendiamo tutto, ma a prezzi da fame, subiamo la speculazione del marchio di infamia ‘Terra dei fuochi’. Insieme ad altri sto pensando di andare in Tunisia. Detassazione per dieci anni e senza essere bollati”. Insomma la terra dei fuochi non solo resta un'emergenza ambientale, in attesa di bonifiche e mappatura, ma rischia di diventare il killer dell'agricoltura campana. Il fatto quotidiano 31 gennaio 2014

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