martedì 29 ottobre 2013

Terracina discarica nel vecchio ospedale dove il tempo si è fermato Da edificio storico a cimitero di scarti sanitari

Latina Oggi 28 ottobre 2013 DI FRANCESCO AVENA L’orologio si è fermato una mattina di venti anni fa. Lastre piene di polvere, documenti riservati, le ampolle di medicinali, sostanze pericolose con i cucchiaini ancora incrostati di chissà quale sciroppo, fascicoli accatastati su montagne di scartoffie: qui ogni cosa è rimasta rinchiusa tra quelle mura, sprofondata nell’in - differenza e nel silenzio. Oggi l’ospedale vecchio di Terracina, nella splendida struttura di quello che un tempo era un magnifico convento francescano nella parte alta della città, è ridotto a un cimitero di scarti sanitari. Una discarica, all’interno di un edificio di immenso valore storico di proprietà della Asl, quindi della Regione. Che mentre taglia ospedali, posti letto, contratti a medici e infermieri, abbandona a se stessa una struttura come quella di via San Francesco, ombreggiato dal Tempio di Giove, proprio sopra il Parco della Rimembranza. Da lì sopra, se ti affacci e guardi verso il mare, riesci a scorgere tutta la città dall’al - to, con un panorama paragonabile soltanto a quello che si apprezza dal Tempio di Giove. Da venti anni l’ospe - dale si è trasferito. Con l’apertura del «Fiorini» due decenni fa, le porte della vecchia struttura si sono chiuse a pazienti, famiglie e medici, che per anni avevano popolato quell’e d i fi c i o . Dopo di loro, a fare capolino di tanto in tanto nella palazzina, clochard e barboni, sbandati in cerca di un rifugio dal freddo e di un tetto sotto cui vivere. Lì dentro, di tanto in tanto, hanno visto entrare anche ragazzacci a fare i comodi loro, o addirittura camionette che andavano a prendere ferro e rame, tanto non è fregato più niente a nessuno da tanto tempo. Dall’esterno l’edificio è una cattedrale nel deserto, circondata da erbacce e piante alte due metri e anche più. I vetri di alcune finestre sono rotti, caduti in frantumi forse per colpa di qualche sassata lanciata da vandali in cerca di solitudine per i loro divertimenti. Le porte si aprono e si chiudono come se non ci fosse mai stato un lucchetto a sbarrare l’i ngresso. Chissà quante volte sarà stato cambiato, chissà quante volte lo avranno sfondato. Entrando in quello che un tempo era un glorioso ospedale, si ha come l’impressione che sia successo un evento improvviso e che tutti siano scappati. Nessuno deve essersi preoccupato di pulire, di organizzare un trasloco, di liberare i locali da tutta quella montagna di carte e documenti. Hanno lasciato i sanitari, le lampade operatorie, le targhe dei reparti attaccate ai muri. Schiere di contenitori pieni di medicinali e sostanze pericolose sono stati lasciati semivuoti, col tappo aperto, su mensole e tavolini. Dalle serrande verdi filtra la luce che illumina a squarci le stanze, circondate da muri ricoperti a mezza altezza da maioliche di un celeste molto ospedaliero. Nei corridoi, invece, le mattonelle colorate lasciano spazio a una tintura che ha perso cromaticità. Alcuni corridoi sono ricoperti di un tappeto di faldoni e fascicoli pieni di documenti. Per camminare (come dimostrato nelle foto di questo reportage scattate negli ultimi mesi) devi calpestare referti, analisi, lastre, schede di medicinali. Una stanza ha il pavimento su cui si sdraia uno strato di siringhe inutilizzate. Nella sala operatoria il tempo sembra essersi fermato ancora una volta. Al centro della stanza piomba dal soffitto la lampada che un tempo illuminava il corpo dei pazienti e guidava i medici durante gli interventi chirurgici. Hanno staccato la corrente e sradicato una porta, forse per agevolare il lavoro di «pulizia» della struttura. Ci potrebbero fare un bed&breakfast, un percorso museale, un luogo di cultura, avevano detto. Intanto ne hanno fatto un luogo abbandonato, lasciato a se stesso, senza padrone e senza rispetto. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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