mercoledì 29 maggio 2013

carbone in tribunale Enel contro Greenpeace per uno al giorno

Carbone in tribunale, Enel contro Greenpeace - LA DISPUTA Il cortometraggio “Uno al giorno” d e nu n c i a l’impatto sulla salute delle centrali inquinanti, l’azienda querela per diffamazione regista e sceneggiatore - LA CAMPAGNA Gli ambientalisti si basano su uno studio di un’agenzia europea La replica : “Attacchi assurdi, le nostre attività sono tutte nel rispetto della legge e dobbiamo tutelare la nostra reputazione”di Valeria Pacelli Si sposta in tribunale lo scontro tra il colosso italiano dell’elettricità, Enel, e il gruppo ambientalista Greenpeace. Una disputa che nasce dopo la diffusione di un cortometraggio dal titolo “Un morto al giorno”, quattro minuti in cui vengono portati in scena i dati sull’inquinamento prodotto dalle centrali a carbone dell’Enel. Numeri preoccupanti che parlano di un decesso al giorno. L’azienda tuttavia per tutelare la propria scelta di produzione ha deciso di denunciare gli autori del cortometraggio. Il regista Mimmo Calopresti e l’autore della sceneggiatura Manfredi Giffone così sono finiti nel registro degli indagati per diffamazione. Il video, pubblicato lo scorso novembre, contiene la denuncia nei confronti della scelta dell’Enel di creare energia proprio grazie a centrali a carbone alcune già presenti in Italia Stando ai dati riportati da Greenpeace non sono poche le vittime causate da questo sistema di produzione. Precisamente 366 decessi l’anno. Enel produce il 41 per cento dell’elettricità grazie al carbone, ma anche danni per oltre 1,7 miliardi di euro l’anno, dice Greenpeace. Nel corto si mette in scena proprio il carbone che uccide. Un sacchetto con il combustibile che, una volta aperto dal cliente, si rivela letale. LA CAMPAGNA che Greenpeace porta avanti si basa sui dati forniti da un rapporto della fondazione olandese Somo e allo studio della Eea (European Environmental Agency), l’agenzia per l’ambiente dell’Unione Europea che individua i 20 impianti di produzione di energia più inquinanti in Europa. Per quanto riguarda l’Italia, al primo posto c’è la centrale a carbone dell’Enel “Fe - derico II” di Brindisi, i cui costi esterni (calcolati dall’Eea) ammontavano a 707 milioni di euro nel 2009. Nel rapporto del gruppo ambientalista si legge: “I costi esterni delle centrali a carbone sono di 1,7 miliardi di euro, oltre il 40% dell'utile che Enel ha ottenuto a livello consolidato, in tutto il mondo, nel 2011. Se alle attuali centrali si dovessero aggiungere quelle di Porto Tolle e Rossano Calabro - che potrebbero presto essere convertite da olio a carbone - i costi esterni potrebbero toccare i 2,5 miliardi di euro all’anno, suddivisi in costi per la salute, danni alle colture agricole, da inquinamento dell’aria e da emissioni di Co2”. E infatti anche per la centrale termoelettrica di Porto Tolle, un comune di 10mila abitanti in Veneto, a gennaio del 2011 è stata autorizzata la conversione a carbone. Contro questa campagna, Enel ha avviato più di una azione legale. Una causa è stata già discussa in sede civile. Alla fine dello scorso anno è stata emessa una sentenza dal tribunale civile di Roma che tuttavia ha dato ragione agli ambientalisti: i dati diffusi non sono lesivi nei confronti dell’azienda, non c’è stata quindi alcuna diffamazione. Ora si apre un nuovo capitolo processuale. L’azienda sulla questione precisa: “Le attività sono sottoposte alle norme e ai controlli delle istituzioni locali, nazionali e internazionali e si svolgono nel pieno rispetto delle leggi. Circa metà dell’energia elettrica che produciamo è priva di qualunque tipo di emissione, compresa l’anidride carbonica. Solo il 12% dell'energia elettrica italiana è prodotta con il carbone contro una media europea del doppio”. L’ Enel “non è contraria al diritto di critica e di satira, ma è costretta a tutelare la propria reputazione di fronte a un’assurda accusa di strage premeditata e continuata per il rispetto dovuto ai 75 mila dipendenti e alle decine di milioni di stakeholder”. Il fatto quotidiano 29 maggio 2013 

Calopresti accusato per film Greenpeace contro i danni del carbone dell'Enel

Sotto accusa per il mio film, non intendo fermarmi - L’APPELLO “Oggi tutti i deputati e senatori riceveranno una copia del video Qualcuno chiederà alla società di essere più responsabile?”di Mimmo Calopresti La scorsa estate ho deciso di collaborare con Greenpeace per far conoscere una cosa di cui si parla troppo poco. Il carbone, la fonte energetica più sporca e dannosa per la salute umana e il clima, causa ogni anno centinaia di morti premature nel nostro Paese. In Italia il carbone ha un nome famoso: Enel. Questa azienda, che con quella fonte produce quasi il 50% dei suoi kilowatt, rappresenta circa i tre quarti della produzione nazionale. Gli studi commissionati da Greenpeace a un istituto di ricerca indipendente dicono che l’inquinamento delle centrali a carbone di Enel causa in Italia una morte prematura al giorno e 1,8 miliardi di euro di danni l’anno alla nostra salute, all’ambiente e all’economia. Questi dati, peraltro, sono riferiti all’anno 2009: da allora la produzione di Enel col carbone è notevolmente cresciuta. Per raccontare tutto ciò, con Greenpeace ho realizzato un cortometraggio – Uno al giorno – al quale hanno prestato il loro talento molti importanti attori – Haber, Quartullo, Ceccarelli, Briguglia – e musicisti fantastici come i Subsonica e Saro Cosentino. Abbiamo raccontato di come Enel non sia solo un’azienda che vende elettricità: è anche un colosso che la produce, e fin quando lo farà col carbone sarà causa di enormi danni. ENEL NON HA GRADITO: non ha risposto alle contestazioni che le abbiamo mosso, ma ha sporto denuncia “con - tro ignoti”. Risultato: il sottoscritto e l’autore della sceneggiatura, Manfredi Giffone – già autore di una graphic novel sulla mafia, Un fatto umano, divenuta un caso editoriale – risultano attualmente indagati in un procedimento penale. Al momento ancora non conosciamo i reati che ci verrebbero contestati. Peraltro non è il solo procedimento in corso su quel cortometraggio: potremmo presto (noi o Greenpeace) risultare indagati anche in un’altra indagine, di cui conosciamo solo un numero di protocollo. Non mi era mai capitato, in tanti anni di lavoro e avendo già affrontato temi controversi, di finire indagato in un procedimento penale. Greenpeace, invece, è già stata trascinata in tribunale da Enel più volte. E proprio nelle vicende giudiziarie pregresse sta il paradosso di questa storia: i dati che abbiamo utilizzato come base per il nostro lavoro sono già oggetto di una sentenza, c’è già stato un giudice che li ha ritenuti veridici e ha stabilito che diffonderli è legittimo. Ma a Enel questo non basta. Una multinazionale con un fatturato da 80 miliardi di euro può spendere quanto vuole in avvocati per tentare di silenziare me, Greenpeace o chiunque altro. Può uscire sconfitta dalle aule giudiziarie, come le è già successo, sapendo comunque che le sue denunce, le sue querele, i suoi ricorsi hanno un potere intimidatorio, possono rallentare e ostacolare la protesta, consigliare di desistere. Io non desisto, Greenpeace non desiste. Cerco di difendere il clima e l’aria che respiriamo, la salute di tutti e il futuro del Paese. Lo faccio perché sono convinto che l’energia pulita sia oggi un’alternativa praticabile e preferibile, un’opzione già consolidata in tutti i Paesi che guardano al futuro pensando alla sostenibilità, all’occupazione, alle generazioni che verranno. Non posso trattenermi, quindi, dal porre una domanda alla politica e al governo. Enel è un’azienda largamente controllata dallo Stato e i suoi vertici sono nominati direttamente dal ministero del Tesoro. È legittimo che un colosso con una tale quota di responsabilità pubblica mostri di ignorare completamente le critiche che le vengono mosse, non dia alcuna rassicurazione sugli impatti sanitari, ambientali ed economici del suo business e proceda solo a colpi di carte bollate? Oggi, intanto, a ogni parlamentare della Repubblica Greenpeace recapiterà una copia del mio cortometraggio. Qualcuno si farà avanti per chiedere a Enel di essere un’azienda responsabile? Il fatto quotidiano 29 maggio 2013

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