giovedì 29 novembre 2012

Gas serra e protocollo di Kyoto, a Doha si discute sul clima


Via alla conferenza annuale. I paesi più ricchi si sono impegnati a mobilitare risorse per un totale di 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 e parte di questi fondi andranno diretti al Fondo verde per il clima. Il ministro dell'ambiente Corrado Clini: "Il problema non riguarda solo i paesi in via di sviluppo". Greenpeace: "Fatti, non parole" http://www.repubblica.it/ambiente/2012/11/26/news/conferenza_doha_clima-47473137/

COMBATTERE i cambiamenti climatici e tagliare le emissioni di gas serra. Gli obiettivi sono gli stessi, da anni a questa parte. Quelli con sui si sono aperti a Doha(Qatar) i lavori della 18esima conferenza mondialedelle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici che segna una nuova partenza per i negoziati internazionali. A distanza di vent'anni dal summit della terra di Rio, che nel 1992 tracciò le linee guida di questi appuntamenti sul clima, il compito di Doha è quello di guardare al regime post 2012. A partecipare sono i delegati di oltre 190 nazioni, che dovranno preparare il lavoro per la sessione ministeriale, prevista dal 4 al 7 dicembre. La conferenza di Doha, la prima in un Paese del Golfo, è l'occasione per discutere delle modalità della fase due del protocollo di Kyoto. Ma la partita si apre con una presa di posizione netta dei Paesi del blocco BASIC (Brasile, Cina, India e Sud Africa), secondo cui la responsabilità dei risultati del round di negoziati è nelle mani dei Paesi "ricchi". Gli obiettivi della conferenza sono importanti: porre le basi di un nuovo accordo globale per combattere i cambiamenti climatici da adottare entro il 2015 e che entri in vigore nel 2020; identificare i modi per ottenere ulteriori tagli delle emissioni di gas serra entro il 2020 per contenere il riscaldamento della terra entro i due gradi centigradi; finalizzare le regole e adottare il secondo periodo di impegno del protocollo di Kyoto; decidere come procedere sui finanziamenti salva-clima per i paesi in via di sviluppo. 

Alla riunione ministeriale si deciderà, in particolare, come le parti contribuiranno all'obiettivo del limite di riscaldamento entro i due gradi. Tutta da valutare la forma dell'accordo da negoziare entro il 2015 e adottare nel 2020: l'Ue preme per un'intesa legalmente vincolante. Sulla fase due del protocollo di Kyoto, la conferenza dovrà definire la durata del secondo periodo di impegno del protocollo (cinque oppure otto anni). L'Ue punta ad otto anni, per coprire l'intervallo di tempo necessario fino al 2020, quando è previsto che entri in vigore il nuovo accordo globale dopo Kyoto. Per quanto riguarda i finanziamenti, finora Ue e Stati membri hanno fornito per i fondi "fast start", cioè soldi a sostegno degli sforzi contro i cambiamenti climatici dei paesi in via di sviluppo, 7,14 miliardi di euro, che arriveranno a 7,2 miliardi nel 2013.  L'Ue, principale contribuente mondiale di questi finanziamenti, continuerà a dare fondi anche dopo il 2012. Nel complesso, i paesi ricchi si sono impegnati a mobilitare risorse per un totale di 100 miliardi di dollari l'anno entro il 2020 e parte di questi fondi andranno diretti al Fondo verde per il clima, le cui regole non saranno definite prima del 2013. 

Che si tratti di una corsa all'ultimo minuto lo conferma l'ultimo rapporto Unep, il programma Onu per l'ambiente, che lancia un nuovo monito: "Senza interventi rapidi anti-CO2, gli impegni attuali di riduzione delle emissioni di gas serra dei governi porteranno ad un riscaldamento del Pianeta fra i 3 e i 5 gradi centigradi entro questo secolo". 

"È un problema che non riguarda solo i paesi in via di sviluppo" - ha sottolineato il ministro dell'ambiente Corrado Clini  -  "Il fatto è che si avranno crescenti danni ai territori, soprattutto nelle città più ricche e lo dimostrano il caso di New York, ma anche di Genova, della Toscana e di Roma". "Per questo - ha aggiunto il ministro - stiamo presentando al Cipe il programma di adattamento ai cambiamenti climatici che prevede interventi nei prossimi 15 anni con un costo medio di 2,5 miliardi all'anno per mettere in sicurezza il territorio".

A Doha, quest'anno non ci saranno gli attivisti di Greenpeace: "Costi troppo alti", hanno spiegato gli organizzatori che hanno comunque lanciato un monito: "Da questa conferenza devono uscire fatti non parole  -  ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace Italia - È ora che i governi, compreso quello italiano che promuove il carbone e le trivellazioni in mare, si diano da fare per rappresentare concretamente gli interessi delle popolazioni, sempre più vittime del cambiamento climatico, e non quelli delle imprese fossili, dai petrolieri a chi costruisce centrali a carbone, che di tutto questo sono responsabili".

Accordo ambizioso e giusto per Legambiente: "Si chiude una fase storica dei negoziati sul clima, quella in cui ci si era illusi che per superare la crisi climatica fosse sufficiente l'impegno legalmente vincolante di riduzione delle emissioni da parte dei soli paesi industrializzati. Si sta avviando la transizione verso un nuovo accordo globale con un arco d'impegni vincolanti per tutti i paesi nel pieno rispetto dell'equità, secondo il principio di responsabilità comuni ma differenziate tra paesi ricchi e poveri". 

 
(26 novembre 2012)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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