mercoledì 28 novembre 2012

Bersani si tiene i soldi dell'Ilva di Taranto. Il governo vuol legalizzare gli omicidi?

Bersani: “I soldi di Riva? Roba vecchia, non li ridò” I VERTICI DELL’ILVA E I RAPPORTI CON LA POLITICA LA DIFESA DI VENDOLA: NESSUNA PRESSIONE SULL’A R PA IL CANDIDATO Non vuole parlare dei soldi che ricevette dalla famiglia Riva per la sua campagna elettorale di sei anni fa: “Cose vecchie” IL PRESIDENTE Rassicurava al telefono i dirigenti dell’Ilva ma, dice adesso, sui problemi della fabbrica e dell’ambiente “non ho mancato” di Paola Zanca Mentre entra nella sezione del Pd di Trionfale, a Roma, per uno degli ultimi comizi prima del ballottaggio, quando sente i nomi dei proprietari dell’Ilva, fa un cenno con la mano all’indietro. Vuol dire che è roba vecchia. Roba del 2006. Pier Luigi Bersani non ha voglia di parlare dei 98 mila euro con cui la famiglia Riva, dodici anni fa, finanziò la sua campagna elettorale. Un contributo legale e regolarmente denunciato, sia chiaro, ma che oggi, alla luce di quanto sta accadendo a Taranto, appare quanto meno inopportuno. L’idea di restituirli in segno di trasparenza – come gli ha suggerito Il Fatto con l’editoriale di ieri – non è contemplata. È roba vecchia. Roba del 2006. Gli chiediamo: “È giusto tenere i soldi di un imprenditore che non rispetta le regole?”. “Sì, sì, sì – scuote la testa purché lo si lasci in pace – Basta!”. È una storia che lo innervosisce, questo è sicuro. Ma dal suo staff fanno sapere che non ha senso chiedere conto di soldi del passato, quando ancora non si immaginava la bomba tarantina. Il punto è diverso: è perché dire sì alle offerte di un imprenditore che ha distribuito mance a destra e a sinistra (anzi, soprattutto a destra, visto che 245 mila andarono a Forza Italia). Un imprenditore che, in seguito, dimostrerà di ricordarsi dei crediti in sospeso, per esempio scrivendo lettere al segretario del Pd per chiedergli di arginare i senatori democratici troppo attenti alle questioni ambientali e alla sicurezza di Taranto. OGGI Roberto Della Seta – il “nemico” dei Riva a Palazzo Madama – si dice onorato dal fatto che all’Ilva fossero infastiditi da lui. Ma lo colpisce “la presunzione di totale impunità” dimostrata dagli imprenditori tarantini. Che nessuno ha mai pubblicamente contrastato. Così, ieri, ha avuto buon gioco Matteo Renzi nel dire che alla famiglia Riva “si è concesso troppo in nome dell’amicizia con politici di vario genere”. Non va oltre, il rottamatore. Anche perché sul tema della trasparenza dei finanziamenti ha poco da insegnare: la famosa lista dei contributi ricevuti durante la cena a Milano con i finanzieri non è mai stata resa pubblica. Così, non attacca Bersani (dice “da me non sentirete mai polemica per il singolo imprenditore che finanzia il singolo politico”) ma ricorda che “però nessuno ha chiesto mai alla famiglia Riva di bonificare” l’area dell’Ilva. Non è d’accordo Nichi Vendola. Nelle carte che accusano i Riva c’è anche lui, e in particolare ci sono le sue telefonate con l’ex responsabile dei rapporti istituzionali dell’Ilva Girolamo Archinà che, secondo il gip, dimostrano la sua “regia” nell’ostacolare i lavori dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Ieri il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato ha detto che “in nessun modo, né esplicito, né implicito, il presidente Vendola o qualcuno del suo entourage, ha esercitato su di me, sulla vicenda Ilva, qualsiasi forma di pressione”. Lo stesso Vendola ha ricordato che dalla sua “cabi - na di regia”, la presidenza della Regione Puglia, di Assennato si è occupato perché lo ha nominato direttore e lo ha riconfermato. Dice che lui sui problemi dell’Ilva non ha mancato, che “per tre volte” ha fatto leggi sulle emissioni nocive prodotte dall’azienda siderurgica che a Taranto dà lavoro a cinque mila persone. CERTO, il tono delle telefonate è rassicurante nei confronti dell’azienda: “State tranquilli – dice al telefono con Archinà – non è che mi sono scordato (…) Dobbiamo vederci, dobbiamo ridare garanzie, volevo dirglielo perchè poteva chiamare Riva e dirgli che il presidente non si è defilato”. A chi glielo fa notare Vendola risponde con una serie di domande: “Io devo parlare o no con il responsabile delle relazioni istituzionali della più grande fabbrica d’Italia che si trova nella mia Regione? Se incontro un amministratore delegato delle grandi multinazionali che sono sul mio territorio sto facendo qualcosa di sbagliato? C’è o no un problemino chiamato difesa di una fabbrica che dà da vivere a 20mila famiglie ed è il polmone produttivo più importante del Sud d’Italia?”. Risposte non ne dà. Ma almeno non dice che è roba vecchia. Il fatto quotidiano 28 novembre 2012 Ilva di Taranto legalizzare gli omicidi l'unica idea dello stato Paradossi di Stato Legalizzare gli omicidi, l’unica idea del governo Codice tra le mani D I S A S T RO IL GENITORE BUONO Questo l’atteggiamento delle istituzioni nei confronti dei padroni, la magistratura sarebbe la mamma cattiva di Bruno Tinti Il fatto quotidiano 28 novembre 2012 Igenitori sanno che si deve essere uniti davanti ai figli. La madre castiga? Il figlio fa capricci? Il papà conferma il castigo. Quando il figlio dormirà, cercheranno un accordo. Se invece uno dei due lo proteggerà, vanificando rimproveri e castighi, il bambino crescerà senza educazione e sicuro dell’impunità. Le sue ribellioni saranno sempre più gravi. Da adulto sarà una persona insofferente delle regole, prepotente e aggressivo. Questa banale riflessione, trasportata a livello istituzionale, consente analogie illuminanti. Parlamento e governo fanno le leggi e le fanno rispettare; la magistratura ne sanziona la violazione. Cosa succede se i cittadini violano le leggi e, quando i giudici li puniscono, governo o parlamento dicono che la sanzione non va applicata e che è meglio farsi promettere che, da ora in avanti, si comporteranno bene? SUCCEDE che i cittadini continueranno a violare le leggi, tanto sanno che uno dei genitori, qualsiasi cosa facciano, li proteggerà sempre. Tutto questo sta avvenendo con l’Ilva. Dopo anni di omicidi impuniti, i giudici l’hanno sequestrata con divieto di continuare l’attività. L’Ilva ha disobbedito e ha prodotto una certa quantità di acciaio, perseverando nell’inquina - mento ambientale, causa degli omicidi. I giudici hanno sequestrato l’acciaio prodotto perché provento di reato. I proprietari dell’Ilva si sono molto arrabbiati e hanno annunciato che chiuderanno l’azienda, mettendo sul lastrico circa 20 mila persone. Il ministro Clini è intervenuto e ha spiegato che “già giovedì il governo interverrà con un provvedimento che consenta di superare questa situazione, coniugando lavoro e salute con una soluzione ad hoc”. Come tutti sanno benissimo la cosa è impossibile. L’Ilva, se produce, inquina e ammazza. Perché non ammazzi occorre un risanamento che richiede anni di lavoro e molte centinaia di milioni di euro. Ammesso che i soldi siano disponibili (il che non è), non si può comunque produrre fino a che il risanamento non è completato: se lo si fa prima si ammazza. Quindi, dire che esiste una soluzione è una bugia. Quello che Clini vuole fare, in realtà, è permettere all’Ilva di produrre in cambio della disponibilità a risanare. E anche se tale disponibilità ci fosse (ma non c’è, la proprietà ha promesso e mentito per anni), un provvedimento del genere significherebbe legalizzare gli omicidi che si verificherebbero tra la ripresa della produzione e l’avvenuto risanamento. Clini questa cosa la sa benissimo; ed è per questo che, fino ad ora, una legge che dica sostanzialmente: “L’Ilva può produrre anche se la magistratura dice di no” non ha avuto il coraggio di farla. Ma, siccome è furbo, ha fatto in modo di far capire all’Ilva che lui è il genitore buono e che la magistratura è quello cattivo: piangi e protesta e io cercherò di aiutarti. E perché questa cosa sia creduta non solo dall’Ilva, ma anche dai cittadini, va in giro a raccontare che il provvedimento della magistratura di Taranto “è in conflitto con l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che è legge, che la strada maestra è applicarla e che, altrimenti, prenderemo provvedimenti”. In conflitto perché? In fondo l’Aia è solo un insieme di prescrizioni che, da sole, non eliminano l’inquinamento e non impediscono gli ammazzamenti. Si applichi e, quando le sue prescrizioni saranno osservate (tutte, nessuna esclusa), allora si potrà riprendere l’attività. Ma Clini dice che il provvedimento della Procura di Taranto “rende molto difficile l’applicazione dell’Aia, dell’unica norma che consente il risanamento ambientale”. LO DICE ma non spiega perché. Però è molto puntiglioso: “Il compito di stabilire le procedure, le norme tecniche e le prescrizioni per rispettare l’ambiente e per proteggere la salute è delle amministrazioni competenti, in questo caso del Ministero dell’Ambiente”. Insomma la magistratura non rompa le scatole, stabilendo “norme quasi (?) in concorrenza con quelle delle amministrazioni competenti”. La proprietà, ben lieta di avere un papà così buono e fiducioso (promettete e noi vi faremo riprendere l’attività), aspetta di vedere come va a finire. Potrebbero intervenire i nonni, saggi e giusti. Ma il presidente della Repubblica, agitando la mano, ha detto: “La situazione è troppo complicata per mandare messaggi”. Bersani 98 mila € da Ilva di Taranto, non restituisce e non risponde Bersani, ci dica di Marco Travaglio Due settimane fa il Fatto ha organizzato cinque forum con i candidati alle primarie del centrosinistra. Renzi, Vendola, Puppato e Tabacci sono venuti e hanno risposto alle nostre domande. Bersani invece si è dato, preferendo i soliti, comodi salotti tv. Nemmeno un sms per spiegarsi e scusarsi (non con noi: con i lettori). Peccato, perché di cose da chiedergli ne avevamo tante, e ora qualcuna in più. Ieri la nostra Paola Zanca ha avvicinato lui e il suo portavoce per avere una risposta a una domanda semplice semplice: intende restituire il finanziamento elettorale che Emilio Riva, padrone dell’Ilva, gli versò sei anni fa? La risposta la trovate a pag. 4, ma in sintesi è questa: no. Forse il segretario del Pd non ha ben colto l’importanza della questione: gliela riassumiamo nella forma delle cinque domande che gli avremmo posto se avesse accettato il confronto con noi. Convinti come siamo che chi si candida a governare l’Italia abbia il dovere di rispondere. 1. Nel 2006-2007 Emilio Riva, recentemente arrestato per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, inquisito anche per una mega- evasione fiscale di 52 milioni, finanziò la sua campagna elettorale con un assegno di 98 mila euro. Lei, on. Bersani, lo registrò nell’apposita dichiarazione alla Camera: ci mancherebbe. Ma Riva non è un sostenitore della sinistra, anzi è noto per simpatie di destra (contemporaneamente staccò un assegno di 245 mila euro a Berlusconi). Si è mai domandato perché finanziò non gli allora Ds, ma personalmente lei, all’epoca ministro in pectore dello Sviluppo economico del governo Prodi-2, preposto alla vigilanza sull’Ilva? Non sarebbe stato opportuno rifiutare quei soldi, per evitare imbarazzi verso un’azienda già allora nel mirino di pm e ambientalisti? 2. La classe politica, locale e nazionale, di destra e di sinistra, ha sempre consentito all’Ilva (pubblica e poi privata) di fare i comodi suoi, intascando utili miliardari e guardandosi bene dal bonificare gli impianti, tant’è che per fermare la strage c’è voluta la magistratura. Cosa deve pensare un elettore, alla notizia che i vertici dei maggiori partiti di destra e di sinistra erano finanziati dai Riva? Quel che ne pensava Riva l’abbiamo appreso dalla mail che le inviò nel 2010 il vertice Ilva per invitarla a “non fare il coglione” e a bloccare la solitaria battaglia ambientalista del senatore Della Seta. Questi garantisce che lei non intervenne: ci mancherebbe. Ma non crede che l’aver accettato quel contributo abbia messo strane idee in testa ai Riva? 3. I ministri dell’Ambiente cambiano, ma i dirigenti restano. Uno dei più longevi è Corrado Clini, oggi inopinatamente ministro, ovviamente sdraiato sulle posizioni dell’Ilva, come pure il suo collega dello Sviluppo economico, Corrado Passera. I due seguitano ad attaccare i giudici, come se i disastri dell’Ilva fossero colpa loro. Non è il caso che il Pd chieda le immediate dimissioni di questi due signori? 4. A Che tempo che fa lei ha biascicato frasi di circostanza sulla chiusura dell’Ilva, frutto di una guerra fra “due poteri dello Stato”, e ha invocato “interventi normativi del governo”. A parte il fatto che, in uno Stato di diritto, nessun governo può cambiare le sentenze e le ordinanze giudiziarie per decreto, non crede di dover dire qualcosa sullo spaventoso verminaio di corruzioni e complicità istituzionali emerso dalle indagini? E sulla condotta del suo alleato Vendola, governatore e dunque responsabile della sanità pugliese, indicato dal Gip come “regista” della guerra al direttore dell’Arpa, reo di tutelare la salute dei cittadini contro i disegni dei Riva? 5. Che aspetta a restituire quei 98 mila euro a Emilio Riva? Il fatto quotidiano 28 novembre 2012

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