venerdì 17 febbraio 2012

amianto, eternit 700 morti a Broni, la mappa inquinamento in Italia, Ong antinquinamento

Amianto, un’altra Casale nell’Oltrepo pavese. A Broni 700 morti. E ancora nessun colpevole Il processo per le morti causate dalla cementifera Fibronit sta per iniziare. Eppure per vent'anni le patologie tumorali frequenti non hanno fatto scattare una reazione di cittadini e amministrazione. “Ci dicevano che alzando la voce avremmo rovinato l'economia del vino”. Le telecamere de ilfattoquotidiano.it sono entrate nella fabbrica delle polveri killer. Dove non ci sono ancora i soldi per la bonifica“Il male della cementifera”. Era così che la gente di Broni, fino agli anni ’90, definiva la rara forma di tumore ai polmoni che colpiva con preoccupante frequenza i suoi abitanti. La patologia era sempre quella: mesotelioma pleurico. E le vittime si moltiplicavano. Le stime più prudenti parlano di almeno 700 morti accertati fino a oggi. Tutti, in paese, sapevano che il tumore dipendeva dalle polveri fuoriuscite da quella fabbrica, la cementifera Fibronit. Morivano gli operai. Morivano le loro mogli che lavavano le tute impregnate di quella sostanza. Morivano (e continuano a morire, perché il mesotelioma ha una latenza che può arrivare a 40 anni) le persone che vivevano attorno a quell’insediamento industriale – costruito proprio nel cuore del paese – che fra il 1919 e il 1994 ha dato lavoro a 3.798 persone. Ma le denunce non arrivavano. Le associazioni delle vittime non nascevano. Le amministrazioni comunali tacevano. Fino a dieci anni fa, a Broni non c’era nemmeno un riconoscimento ufficiale dei danni ambientali provocati dalla lavorazione dell’amianto.

La storia di Broni è molto simile a quella di Casale Monferrato, dove operava la Eternit (lunedì scorso il tribunale di Torino ha condannato a 16 anni i due ex proprietari). Eppure nell’Oltrepo la reazione, per anni, non è arrivata. A differenza della città piemontese, qui non ci sono mai state – e non ci sono tuttora – bandiere tricolori alle finestre con la scritta “giustizia”. Qui le prime denunce sono arrivate nello scorso decennio. Il processo non ha ancora preso il via, l’udienza preliminare è prevista nelle prossime settimane. Le due associazioni dei parenti delle vittime esistono da meno di 5 anni. E prima? “Broni per un lungo periodo ha rimosso questo problema. A differenza di Casale, c’è stata grande difficoltà ad ammettere che il paese avesse un problema così”, spiega Gianluigi Vecchi, coordinatore provinciale di Legambiente Pavia.

“Ci dicevano che alzando la voce avremmo rovinato l’economia del vino, ci accusavano addirittura di provocare il crollo del mercato immobiliare”, dice Costanza Pace, bronese e membro dell’Associazione esposti amianto: “Solo raccogliendo prove delle piogge acide, mostrando gli effetti dello sfaldamento dei tetti e infine istituendo il registro dei mesoteliomi, siamo riusciti a diventare sito di interesse nazionale”. Ancora più arrabbiato Silvio Mingrino, fondatore di Avani, l’altra associazione delle vittime: “Ho perso mio padre nel ’99 e mia madre mi spiegò che la causa era ‘il male della cementifera’. Poi, nove anni dopo, morì anche lei: mesotelioma pleurico. Quel giorno capii che non potevo più fare finta di niente. Chi doveva tutelarci non l’aveva fatto, dovevamo pensarci da soli”. Mingrino sostiene che le 700 vittime di cui parla Legambiente siano frutto di una stima per difetto. A noi risulta che dal 1978 ad oggi siano decedute per patologie legate all’esposizione all’amianto 1.300 persone”.

L’amianto ha fatto parte della vita di Broni, ne è stato protagonista per più di cinquant’anni: “Qui molto spesso agli operai venivano date le lastre difettose da usare nelle campagne o il polverino residuo per fare il cemento dei vialetti negli orti”, spiega Mario Fugazza, assessore all’Ambiente, che ha fatto un censimento della presenza di lastre di amianto nel Comune: “Le coperture di amianto, dal capannone al ricovero attrezzi, hanno una superficie complessiva di circa 150mila metri quadrati, di cui circa mille sono pubblici”. Le associazioni ora avanzano richieste all’amministrazione: “Deve arrivare una bonifica di tutti i manufatti”, aggiunge Costanza Pace. “A Broni anche chi non lavorava in fabbrica veniva colpito da questo killer silenzioso che usciva dalla fabbrica ed entrava silente nelle nostre abitazioni. E quasi tutti a Broni hanno avuto un morto per malattie causate da queste polveri”.

Già, la bonifica. I tempi sono lunghissimi. Oggi è in corso la messa in sicurezza (che arriva a 18 anni dalla chiusura della fabbrica), per la quale sono stati stanziati circa 5 milioni di euro. Ma fare recinzioni e tappare con dei pannelli le aperture nelle pareti non significa bonificare. Per questa seconda fase non ci sono ancora i soldi. Stesso discorso per lo smaltimento di tutte le lastre rimosse. “Non ci sono ancora i 15 milioni per la bonifica e 10 per lo smaltimento. Dopo la sentenza di Casale questo è inaccettabile”, spiega Gianluigi Vecchi. E l’assessore aggiunge: “Avendo a disposizione una somma non sufficiente per procedere con la bonifica, abbiamo iniziato l’intervento dai capannoni in cui avvenivano le lavorazioni”.

Tra poche settimane a Voghera inizierà il processo, a due anni dall’avviso di chiusura indagini. Dieci gli indagati, tutti ex dirigenti Fibronit. Il pm Giovanni Benelli ha modificato il capo d’accusa da disastro colposo a disastro doloso. Lo stesso reato per cui sono stati condannati, pochi giorni fa, gli ex proprietari di Eternit. “Omettevano volontariamente di adottare gli accorgimenti e i presidi organizzativi”, si legge nell’avviso firmato da Benelli. Non solo: “Omettevano di adottare idonei sistemi per evitare il propagarsi delle polveri”. Le carte giudiziarie, due anni fa, individuavano oltre 570 morti sospette. E dal 2010 a oggi sono morte altre cento persone. L’azienda è fallita, non c’è più traccia della proprietà. Scarse le possibilità di ottenere risarcimenti importanti per i soggetti coinvolti. “Ma il nostro obiettivo – dice Mingrino – non sono i soldi. E’ importante che a Broni si scaccino i fantasmi. E quello che è accaduto deve essere scritto, nero su bianco, dalla giustizia. Grazie alla sentenza di Torino, ora anche la legge ammette che l’amianto uccide”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/16/amianto-nelloltrepo-unaltra-casale-broni-morti-nessun-colpevole/191519/


Non solo Casale: la mappa dell’amianto in Italia tra morte, indagini e bonifiche a rilento Una cartina con 27mila punti che resta incompleta, una censimento delle vittime ancora parziale, una legge rimasta a metà. A trent'anni esatti dalla normativa che ha messo al bando la sostanza tossica, la geografia del killer silenzioso nel nostro Paese è ancora piena di buchi.Una cartina con 27mila punti che resta incompleta, una censimento delle morti ancora parziale (e in drammatica attesa del “picco”), una legge avanzata rimasta a metà. E ancora: indagini, processi e bonifiche che procedono a rilento. Dalla Fibronit di Broni, dove il fattoquotidiano.it ha documentato il ritardo nel piano di bonifica, a quella di Bari, passando per l’Isolchimica di Avellino e per il Velodromo di Roma. La geografia dell’amianto in Italia, a trent’anni esatti dalla legge che ha messo al bando la sostanza tossica, è ancora piena di buchi. La sentenza Eternit di due giorni fa ha segnato un importante punto di svolta in materia. Ma mettendo insieme dati epidemiologici, censimenti in corso, richieste di prepensionamento per mesoteliona resta ancora molto da fare. Ad esempio, sul fronte dell’applicazione integrale della legge-pilastro del 27 marzo 1992, quella che doveva dare giustizia e tutelare tutti i soggetti esposti all’amianto, compresi i cittadini che si sono ammalati per motivi di prossimità ai siti contaminati e non per “esposizione di origine professionale”. Sono i bambini che attendevano i genitori fuori dalla fabbrica di Casale, sono gli alunni delle scuole laminate con la fibra tossica dagli anni Sessanta per 30 lunghi anni. Per tutti loro, al momento, non c’è alcuna tutela assicurativa e anche il canale giudiziario non si è mai aperto. E non sono pochi. Secondo il Dipartimento di Medicina del Lavoro dell’Inail pesano per un 30 per cento sul numero totale di contaminati.

Sul fronte epidemiologico si sa che il peggio deve ancora venire. L’amianto miete ancora 3mila vittime l’anno ma questo numero aumenterà in maniera esponenziale in futuro, con un picco di vittime tra il 2015 e il 2018, perché il “killer silenzioso” si manifesta dopo più di 40 anni dall’inizio dell’esposizione. Nel 2030, dicono le proiezioni in mano agli esperti, le vittime saranno 30mila. Così diventa fondamentale la corsa contro il tempo per capire la collocazione geografica dei decessi. E qui, da giorni, è emerso il ritardo collegato all’inerzia di molte regioni italiane che dovevano trasmettere al Registro nazionale dei mesoteliomi istituito presso la ex Ispesl (oggi Inail) i dati sulla presenza della polvere mortale in edifici pubblici e privati.

Le cifre riportate dai giornali in questi giorni fanno riferimento a 27mila siti censiti nel 2009 ma il dato aggiornato ad oggi, 15 febbraio 2012, si è già gonfiato di 700 nuovi siti. Su questo fronte molto è da addebitare alla politica a tutti i livelli. Lo Stato non sta facendo la sua parte fino infondo. Un esempio per tutti. La citata legge del ’92 istituiva una Conferenza nazionale sull’amianto che avrebbe dovuto fare il punto anno per anno dell’avanzamento dei lavori di censimento, bonifica, analisi dei dati epidemilogici. L’ultima risale al 1999. Nessuna edizione negli anni successivi.

In questi giorni si stanno depositano interrogazioni a raffica per capire perché ci sono zone d’ombra in un censimento che serve a scongiurare altri casi Eternit nel paese. L’ultima è quella presentata a settembre e aggiornata a dicembre da sei parlamentari per chiedere a che punto fosse la ricognizione, perché alcune regioni non avessero trasmesso dati, quante risorse fossero a disposizione per le ispezioni e via dicendo. E intanto, due mesi dopo, è arriva la storica sentenza di Torino. Altre arriveranno a breve, alcune indagini devono ancora partire. Insomma, è l’anno zero di una partita con cui l’Italia, primo Paese europeo a bandire l’amianto (l’avanzatissimo Canada lo impiega e commercializza ancora liberamente), dovrà fare a lungo i conti. E’ la magistratura la punta più avanza nella lotta sul campo. La giustizia, è appena successo a Torino, può illuminare ampi settori di una cartina che ha migliaia di punti accesi ma resta sullo sfondo delle urgenze nazionali. E sta facendo il suo corso faticoso con processi che sono del tutto assimilabili a quello Eternit.

Da una parte l’azienda, a volte pubblica, dall’altra i parenti delle vittime e i malati. A Cosenza è in corso il processo contro l’ex sindaco di Praia a mare, Lomonaco, che era responsabile all’interno della tessile Marlane. La prossima udienza sarà il 24 febbraio. E’ attesa per il 22 marzo a Padova la sentenza contro alcuni ex capi di Stato Maggiore della Marina Militare e qui si tornerà a parlare di responsabilità e connivenze della politica perché nel bel mezzo dell’istruttoria è arrivata una legge (la 132/2010) del governo Berlusconi, subito ribattezzata “salva-ammiragli”, che solleva gli ufficiali dall’imputazione penale lasciando solo quella civile. Nel frattempo il censimento nel settore militare/nautico ha permesso di individuare 50 punti certi di contagio.

Poca giustizia, però, sarà fatta per i 700 militari marittimi morti finora per cause d’amianto. Sta per partire il processo di Avellino contro l’Isolchimica di Elio Graziano. In vent’anni in quella fabbrica si sono ammalati 108 lavoratori. Anche a Roma si muove qualcosa. E’ partita a novembre l’istruttoria per l’ex Velodromo che chiama in causa direttamente il Comune, che diede l’autorizzazione alla società Eur Spa di abbattere la struttura imbottendola di 120 chili di tritolo. Il giorno dell’implosione si depositarono a terra, per centinaia di metri, 4.535 chili di materiali contenenti amianto e la polvere si liberò nell’aria. Ci vorranno vent’anni per capire in quanti polmoni sono finite. Non si contano gli stabilimenti sotto indagine. Quelli della Fibronit a Broni, in Lombardia, e a Bari, in Puglia. C’è l’ex stabilimento Michelin di Cuneo; la Caserma di Prati di Caprara a Bologna dove oltre ai militari esposti per anni esattamente un anno fa sono stati esposti anche i profughi del Nord Africa, lì accolti dalle autorità senza troppe remore. A Cosenza c’è l’ex opificio industriale di Mongrassano Scalo; e ancora l’Eternit, la Cementir e l’Italsider di Bagnoli, a Napoli, dove si devono ancora smaltire 100mila tonnellate di amianto.

Oltre ai 27.700 siti censiti tra edifici pubblici e privati contaminati da amianto, è in corso l’individuazione delle discariche abusive che sono un altro grande capitolo dello stesso libro nero sull’amianto in Italia. Anche per questa seconda analisi, però, i dati non sono completi perché la Sicilia, la Calabria, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta non hanno fornito nessuna risposta.

Ma intanto la bonifica potrebbe partire dai siti conosciuti, così da ridurre significativamente il rischio di dover conteggiare i morti per esposizione ormai non più di tipo occupazionale ma ambientale. Su questo è chiara la denuncia dell’Ispesl che rileva una scarsa collaborazione da parte del governo e degli enti locali e una “cronica mancanza dei fondi necessari” per poter avviare un efficace programma di bonifica delle aree contaminate, a partire proprio da quelle dove c’è stato uno smaltimento non controllato e che quindi possono determinare una contaminazione ambientale. Finora sono stati stanziati 50 milioni di euro, destinati però solo ai 9 siti inseriti nella lista d’interesse nazionale, per la bonifica dei quali si prevede ci vogliano almeno 10 anni.

Ma c’è un altro buco enorme nella mappa nazionale dell’amianto e nelle azioni necessarie a dissinescare le bombe chimiche a cielo aperto. Ad oggi non esiste alcuna pianificazione dei siti dove smaltire i materiali di risulta dopo la rimozione. La distanza tra il dettato normativo e la realtà è in un numero assunto come orizzonte temporale in tutta la normativa in materia di amianto e rimasto solo sulla carta. Il 2015 doveva essere l’anno di svolta, il termine temporale entro il quale l’amianto rinvenuto nell’ambiente doveva essere totalmente rimosso. Mancano ancora tre anni, ma da quell’obiettivo siamo lontani anni luce.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/15/solo-casale-mappa-dellamianto-italia-morte-indagini-bonifiche-rilento/191516/

Dopo la sentenza Eternit nasce Interforum
Un’ong contro i crimini industriali nel mondo La rete europea di avvocati impegnati nei processi sull'amianto battezza un'organizzazione specializzata nella tutela della salute e dell'ambiente. Sergio Bonetto: "Cominceremo dai rifiuti speciali spediti in Africa e in India, dove le autorità locali non agiscono"L'avvocato Sergio Bonetto La loro collaborazione ha funzionato e ora gli avvocati europei delle vittime dell’amianto rilanciano la sfida con una ong. Si chiama Interforum e si batterà contro i crimini industriali internazionali. È stata presentata a Torino il giorno dopo la condanna degli ex vertici della Eternit, dal presidente dell’organizzazione, Jean-Paul Teissonière, dal segretario Sergio Bonetto e dall’avvocato belga Jan Fermont. Al momento fanno parte del gruppo (con sede a Parigi) quindici tra avvocati, giuristi ed esperti medico-scientifici, ma l’obiettivo è allargare la rete per permettere alle vittime di disastri industriali di ottenere giustizia.

“Eravamo degli avvocati ‘dispersi’ in Paesi diversi e lavoravamo sulle responsabilità penali dell’Eternit ciascuno per conto proprio”, spiega il presidente. Poi, con l’inizio dell’inchiesta e durante il processo i legali hanno iniziato a collaborare scambiando idee e documenti, conseguendo risultati nei rispettivi paesi, come spiega Fermont: “Per la prima volta abbiamo ottenuto un processo civile in Belgio con una condanna. I giudici hanno stabilito che per decenni l’Eternit ha inquinato lucrando. Ciò è stato possibile perché per dimostrare l’azione dell’azienda ho utilizzato i documenti di Torino e quelli francesi”.

Si soffermeranno ancora sul caso della multinazionale dell’amianto per tentare di sanare le differenze fra tre Stati in cui l’azienda ha operato con metodi uguali, ma dove la giustizia ha preso corsi differenti: “Il nostro desiderio è di esportare il modello di Torino”, dice il francese. L’intenzione di Teissonière e colleghi è “passare dalle differenze all’armonizzazione nel trattamento del processo” perché “in Italia si considera quanto accaduto un crimine collettivo con gravità penale, mentre in Francia e in Belgio no, perché l’ordine pubblico non è stato danneggiato. Da noi la definizione di disastro ambientale non c’è, non si incrimina per un reato alla collettività, ma per il singolo omicidio colposo”. Per questo hanno già organizzato un convegno a Parigi a cui parteciperà il sostituto procuratore Raffaele Guariniello con una relazione sulle nuove frontiere del diritto penale adottate nei processi ThyssenKrupp ed Eternit. Ma questo non è l’unico ambito d’azione di Interforum.

“Oltre il dossier Eternit ci sono altre sfide da affrontare insieme”, afferma Teissonière, e Fermont conferma: “Ci sono molti problemi e crimini industriali sul pianeta. Bisogna completare il puzzle delle responsabilità delle multinazionali”. Bonetto fa un esempio: “Vogliamo essere molto pratici. Sceglieremo i casi di rilevanza internazionale, come la questione dei rifiuti speciali inviati verso l’Africa o l’India, dove le istituzioni non sembrano interessate ad agire. Cercheremo di ricostruire i diversi tasselli in modo da avere un quadro concreto da presentare alle autorità”.

La volontà è evitare che disastri come quello di Bhopal restino impuniti: “Non siamo in grado di affrontare tutti i problemi del mondo, ma proveremo a ottenere qualcosa”. Per tentarci gli avvocati, i giuristi, ex magistrati (tra cui Mario Vaudano, ex consigliere giuridico all’Olaf, ufficio europeo contro le frodi) di Interforum puntano a usare vari metodi, dalla formulazione di leggi e l’ideazione di istituzioni internazionali capaci di perseguire questi reati, fino al sostegno giuridico delle vittime di disastri industriali.

Una sfida non facile, considerando i pool di legali a disposizione delle multinazionali. Solo Stephan Schmidheiny al processo di Torino era difeso da una ventina di avvocati: “Noi abbiamo un vantaggio – afferma Bonetto -. Senza una gerarchia siamo più agili e spontanei, contiamo di superare così le differenze di patrimonio”. Inoltre potranno vantare sulla collaborazione di associazioni di vittime, ambientalisti e sindacati.

Un risultato l’hanno già ottenuto, dice ironicamente Bonetto: “L’Eternit francese ha denunciato Teissonière per diffamazione. Anche Oltralpe avremo un processo Eternit”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/15/dopo-sentenza-eternit-nasce-interforumunong-contro-crimini-industriali-mondo/191518/

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